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Una nuova riforma del lavoro ad opera delle giurisdizioni superiori?


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Le riforme del lavoro attuate, dapprima, nel 2012 con la Legge Fornero e, successivamente, a cavallo tra il 2014 ed il 2015 con il c.d. Jobs Act, sin dalla loro entrata in vigore sono state oggetto di numerosi dibattiti e critiche.

Le innovazioni apportate dalle stesse - e, in particolar modo, il nuovo sistema di tutele introdotto in caso di licenziamenti illegittimi - hanno indotto in più occasioni i Giudici di merito, che si sono trovati ad attuarle, a rimettere alle giurisdizioni superiori questioni attinenti alla legittimità costituzionale ed alla conformità al diritto comunitario delle norme introdotte dalle citate riforme.

 

I. Le pronunce intervenute sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori

Come innanzi accennato, la L. 92/2012 è intervenuta modificando l’art. 18 della L. 300/1970, in materia di tutele previste per i licenziamenti illegittimi.
In particolare, il legislatore ha previsto la reintegra quale ipotesi residuale, in caso di licenziamenti sia disciplinari che economici.
Proprio in relazione a questi ultimi è intervenuta la Consulta con due pronunce che hanno modificato l’assetto originario previsto dal legislatore nel settimo comma del predetto art. 18, che recitava testualmente: “Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”.
In particolare, sul punto, sono recentemente intervenute le seguenti decisioni:

1. Corte Costituzionale ordinanza n. 59 del 01.04.2021

Il Tribunale di Ravenna – chiamato ad intervenire in un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo – solleva un problema di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, della L. 300/1970, nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso per g.m.o., possa facoltativamente e non debba obbligatoriamente applicare la tutela reintegratoria.
Per la Consulta, la previsione della reintegra come meramente facoltativa, risulta non in armonia con il sistema sanzionatorio delineato dalla c.d. riforma Fornero, in violazione dei princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza.
Ciò, in quanto la scelta del legislatore comporterebbe la previsione di rimedi ingiustificatamente diversificati (uno obbligatorio e l’altro puramente facoltativo) nell’analoga ipotesi di manifesta insussistenza del fatto in relazione alle due fattispecie di licenziamento, rispettivamente quello disciplinare e quello per giustificato motivo oggettivo.
Su tali presupposti, la Corte dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 … nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare», invece che «applica altresì», la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma” (sul punto si veda: Corte Costituzionale: reintegra obbligatoria se il fatto posto alla base del licenziamento per g.m.o. è insussistente).

 

2. Corte Costituzionale ordinanza n. 125 del 19.05.2022

Il Tribunale di Ravenna – chiamato ad intervenire in un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo – solleva un problema di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, della L. 300/1970, nella parte in cui prevede che il giudice possa concedere la reintegra solo nell’ipotesi in cui l’insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso per g.m.o risulti manifesta.
Per la Consulta, quest’ultimo requisito risulta del tutto indeterminato e, come tale, si presta a incertezze applicative che possono condurre a soluzioni difformi con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento.
Inoltre, la disposizione in esame – oltre a creare una disparità tra licenziamenti economici e disciplinari, ove è sufficiente sic et simpliciter l’insussistenza del fatto per concedere la reintegra – si riflette negativamente sul processo, rendendo necessaria una ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza.
Su tali presupposti, la Corte dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 … limitatamente alla parola «manifesta»” (sul punto si veda: Corte Costituzionale: incostituzionale la richiesta della manifesta insussistenza del fatto per la reintegra del lavoratore).

 

II. Le pronunce intervenute sul Jobs Act

Ancora più movimentata è stata la storia del D.Lgs. 23/2015, il quale si era prefisso l’obiettivo di superare l’impianto previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, per introdurre un nuovo sistema di tutele crescenti sulla base dell’anzianità di servizio del dipendente licenziato.

Numerose sono le pronunce intervenute – che, di seguito, si riportano in ordine cronologico – a modificare integralmente la normativa introdotta dal c.d. Jobs Act:

 

1. Corte Costituzionale sentenza n. 194 del 08.11.2018

A seguito della rimessione della questione ad opera del Tribunale di Roma – chiamato ad intervenire in un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento irrogato ad una lavoratrice assunta con il c.d. contratto a tutele crescenti – la Corte Costituzionale ha affermato che il risarcimento proporzionato alla sola anzianità di servizio previsto dal Jobs Act viola i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza.
In particolare, la Consulta ha affermato che, in caso di licenziamento illegittimo, il giudice deve poter determinare in modo discrezionale il relativo indennizzo, tenendo conto, senza parametri rigidi, di altri elementi quali il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti (sul punto si veda: Corte Costituzionale: incostituzionale il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento basato solo sull’anzianità di servizio).

 

2. Corte Costituzionale sentenza n. 150 del 16.07.2020

A seguito della rimessione della questione ad opera dei Tribunali di Roma e Bari – chiamati ad intervenire in procedimenti inerenti all’impugnativa giudiziale di licenziamenti irrogati a lavoratori assunti con il c.d. contratto a tutele crescenti – la Corte Costituzionale ha affermato l’illegittimità della norma che ancora il risarcimento previsto per il recesso affetto da vizi formali e procedurali unicamente all’anzianità di servizio.
In particolare, la Consulta ha affermato che detta violazione non solo non rappresenta una sanzione efficace, atta a dissuadere il datore dal violare la legge, ma non compensa neanche il pregiudizio arrecato dall’inosservanza di garanzie formali e procedurali, che in materia di licenziamento risultano fondamentali (sul punto si veda: Corte Costituzionale: è incostituzionale la norma che prevede che l’indennità per i licenziamenti con vizi formali si basi solo sull’anzianità di servizio).

 

3. Corte Costituzionale sentenza n. 254 del 26.11.2020

La Corte d’Appello di Napoli – chiamata ad intervenire in un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento irrogato, nell’ambito di una procedura collettiva, ad una lavoratrice assunta con il c.d. contratto a tutele crescenti – solleva un problema di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, L. 183/2014 e degli artt. 1 e 10 del D.Lgs. 23/2015. Ciò, in quanto - nell’ipotesi della stessa violazione dei criteri di scelta avvenuta contestualmente in una medesima procedura di licenziamento collettivo - introdurrebbero un regime sanzionatorio differenziato a seconda della data di assunzione dei lavoratori coinvolti.
La Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione sollevata, dal momento che l’ordinanza di rimessione difettava di un elemento essenziale, avendo trascurato di descrivere la fattispecie concreta (sul punto si veda: Corte Costituzionale: inammissibili le questioni sul regime sanzionatorio previsto dal Jobs Act per i licenziamenti collettivi).

 

4. Tribunale di Roma ordinanza di rimessione del 24.02.2021

Il Tribunale di Roma – chiamato ad intervenire in un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento per g.m.o. irrogato ad una lavoratrice assunta con il c.d. contratto a tutele crescenti da una società avente meno di 15 dipendenti – solleva un problema di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, nella parte in cui afferma che: “ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, … l’ammontare delle indennità e dell’importo previsti dall’articolo 3, comma 1, … è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite delle sei mensilità”.
A fondamento della predetta affermazione, il Giudice remittente sostiene che la cornice edittale prevista dall’art. 9 è in contrasto con il criterio di adeguatezza e deterrenza della sanzione stabilito dagli art. 3 commi 1 e 4, 35 coma 1 e 117 comma 1 Cost., e dall’art. 24 della carta Sociale Europea.
In particolare, ad opinione del Tribunale, lo stretto margine discrezionale imposto dalla norma censurata non risulta affatto dissuasivo nei confronti dei comportamenti illegittimi dei datori di lavoro.

 

5. Corte di Giustizia dell’Unione Europea sentenza C-652/2019 del 17.03.2021

Il Tribunale di Milano – che a seguito della declaratoria di illegittimità di un licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta, aveva disposto la reintegra per 349 dipendenti ed aveva, invece, riconosciuto un’indennità risarcitoria ad una sola lavoratrice, in quanto assunta dopo il 7 marzo 2015 – chiede alla CGUE se detto differente trattamento potesse essere contrario ai diritti previsti a livello europeo.
La Corte di Giustizia, investita della questione, ha affermato che non è lesivo del diritto comunitario il doppio regime di tutela stabilito dal c.d. Jobs Act tra lavoratori assunti a tempo indeterminato prima e dopo il 7 marzo 2015, essendo tale scelta dettata dalla volontà di incentivare la stabilizzazione dei rapporti a termine (sul punto si veda: Corte di Giustizia Europea: il regime di tutela previsto dal Jobs Act non è contrario al diritto comunitario).

 

6. Corte Costituzionale ordinanza n. 93 del 07.05.2021

Il Tribunale di Roma – chiamato ad intervenire in un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore assunto con il c.d. contratto a tutele crescenti – solleva un problema di legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.Lgs. 23/2015, laddove prevede che la quantificazione dell’indennità risarcitoria, da corrispondere in caso di recesso viziato nella forma o nella procedura, debba basarsi esclusivamente sull’anzianità di servizio del dipendente.
La Consulta, richiamando in toto la sua precedente pronuncia n. 150/2020, ribadisce che – anche in presenza di vizi formali o procedurali del licenziamento – è illegittimo ancorare il risarcimento unicamente all’anzianità di servizio del lavoratore, senza tener conto di ulteriori fattori (sul punto si veda: Corte Costituzionale: incostituzionale l’indennità parametrata solo sull’anzianità di servizio in caso di licenziamenti viziati formalmente).

 

Il tutto, nell’attesa che anche in futuro gli interventi giurisdizionali possano incidere ancora sui contenuti introdotti dalle tanto “bistrattate” riforme.

Avv. Matteo Farnetani - Fieldfisher