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Corte di Giustizia Europea: il regime di tutela previsto dal Jobs Act non è contrario al diritto comunitario


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Con la sentenza emessa, il 17.03.2021, nella causa C-652/19, la Corte di Giustizia afferma che non è lesivo del diritto comunitario il doppio regime di tutela stabilito dal c.d. Jobs Act tra lavoratori assunti a tempo indeterminato prima e dopo il 7 marzo 2015, essendo tale scelta dettata dalla volontà di incentivare la stabilizzazione dei rapporti a termine.

Il fatto affrontato

Tutti e 350 i dipendenti di un’impresa in grave crisi economica, licenziati nell’ambito di una procedura collettiva, impugnano giudizialmente il recesso.
Accertata l’illegittimità dello stesso per violazione dei criteri di scelta, il Giudice dispone la reintegra per 349 lavoratori assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, mentre riconosce esclusivamente un’indennità risarcitoria ad una lavoratrice, che – seppur assunta con contratto a termine prima del 2015 – aveva visto convertire il suo rapporto a tempo indeterminato successivamente alla data di entrata in vigore del c.d. Jobs Act.
Il Tribunale di Milano, investito della questione, mediante un rinvio pregiudiziale, chiede alla CGUE se detto differente trattamento possa essere considerato lesivo dei diritti portati dalla Direttiva 1998/59 in tema di licenziamento collettivo e dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato (allegato alla Direttiva 1999/70), in ordine al principio di non discriminazione tra lavoratori a termine ed a tempo indeterminato.

La sentenza

La Corte di Giustizia rileva, preliminarmente, che la questione sottopostale - inerente alla violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare - non rientra nel campo di applicazione della Direttiva 1998/59, che si occupa soltanto di disciplinare la procedura da seguire nel caso di recessi irrogati nell’ambito di una procedura collettiva.

Per la sentenza, nel caso di specie, non è ravvisabile neppure la dedotta violazione del principio di non discriminazione, dal momento che la normativa contenuta nel D.Lgs. 23/2015 - che equipara la conversione di un contratto a termine ad una nuova assunzione - trova fondamento e giustificazione nella concessione di una forma di stabilità dell’impiego a fronte dell’accettazione di un regime di tutela meno forte.

Secondo i Giudici, detta scelta non è lesiva del diritto comunitario, rientrando nella discrezionalità di ogni Stato membro il perseguimento dei propri obiettivi di politica economica e sociale, mediante misure ritenute idonee a tali scopi, quali l’incentivo alla conversione dei contratti a termine finalizzato a garantire maggiore stabilità d’impiego.

Su tali presupposti, la CGUE dichiara non fondata la questione prospettale, escludendo che le differenze di trattamento tra determinate categorie di personale assunto a tempo indeterminato possano violare il principio di non discriminazione, dal momento che l’obiettivo perseguito dal legislatore di incrementare l’occupazione giustifica l’adozione di regole differenti.

A cura di Fieldfisher