Stampa

Corte Costituzionale: incostituzionale il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento basato solo sull’anzianità di servizio


icona icona

Con la sentenza n. 194 del 08.11.2018, la Corte Costituzionale afferma che il risarcimento proporzionato alla sola anzianità di servizio - previsto dal Jobs Act in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto con il contratto a tutele crescenti - viola i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza.
Il giudice, infatti, deve poter determinare in modo discrezionale tale indennizzo, tenendo conto, senza parametri rigidi, di altri elementi quali il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti (sul punto si veda: Licenziamenti illegittimi - Nuovi parametri dell’indennità prevista dal Jobs Act: il Tribunale di Bari si ispira alla Corte CostituzionaleCorte Costituzionale: illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento).

Il caso affrontato

Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel corso di un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento irrogato ad una lavoratrice assunta con il c.d. contratto a tutele crescenti, solleva, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 76 e 117 della Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015.
Il Giudice chiede che la Consulta valuti la legittimità della predetta norma, nella parte in cui la stessa prevede quale unico criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato l’anzianità di servizio.
Secondo l’istante, infatti, detta previsione costituirebbe una tutela inadeguata, inidonea a dissuadere il datore di lavoro dall’intimare licenziamenti non conformi al paradigma normativo, consentendo allo stesso di basarsi su di una valutazione soggettiva di convenienza e non oggettiva dell’esigenza.

La sentenza

Secondo la Corte Costituzionale l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, nella parte in cui prevede che il risarcimento deve essere “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”, deve considerarsi costituzionalmente illegittimo, in quanto contrastante con i principi di eguaglianza e ragionevolezza.

In ordine al primo profilo di illegittimità, la Consulta statuisce che la predetta norma produce un’ingiustificata omologazione di situazioni diverse, posto che il licenziamento causa un pregiudizio che varia in funzione di elementi diversi: tra i quali l’anzianità di servizio gioca sicuramente un ruolo importante, ma non a tal punto da essere considerata quale fattore esclusivo.
Per la sentenza, infatti, il giudice, al fine di personalizzare il danno subito dal prestatore, deve tenere in considerazione anche altri criteri - già previsti dalle norme preesistenti (art. 8 l. 604/1966 e art. 18 l. 300/1970) - quali il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.

Per ciò che concerne, invece, il secondo profilo di illegittimità i Giudici costituzionali affermano che l’indennità introdotta dal Jobs Act - in quanto collegata in maniera rigida ed esclusiva all’anzianità di servizio, soprattutto nei casi in cui questa non è elevata - è insufficiente a garantire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore licenziato e, come tale, non può essere ritenuta idonea a dissuadere il datore dall’irrogare recessi illegittimi.

La Corte, pertanto - anche sull’ulteriore presupposto che la norma in esame violerebbe l’art. 24 della Carta Sociale Europea nella parte in cui riconosce il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo ad ottenere un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione - “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183) – sia nel testo originario sia nel testo modificato dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 (Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96 – limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio,»”.

A cura di Fieldfisher