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Cassazione: quando è possibile recedere da un rapporto dirigenziale a termine?


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Con la sentenza n. 2872 del 31.01.2024, la Cassazione afferma che, in presenza di una responsabilità disciplinare e non dirigenziale il recesso del dirigente pubblico, anche a termine, non richiede alcun parere preventivo e obbligatorio al comitato dei garanti.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, assunto con rapporto dirigenziale a termine dall’Azienda ospedaliera, impugna giudizialmente il recesso anticipato dell’Ente.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo fondati i due addebiti (creazione di una situazione di incompatibilità ambientale ed assunzione dell’incarico di amministratore unico di società, in violazione del vincolo di esclusività del rapporto di lavoro) mossi dalla PA datrice a fondamento del recesso.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva preliminarmente che, nel rapporto di lavoro pubblico dirigenziale a termine, è necessario fare un distinguo in caso di risoluzione per responsabilità dirigenziale e per responsabilità disciplinare.

Secondo i Giudici di legittimità, la prima attiene al raggiungimento degli obiettivi dirigenziali e può essere contestata solo previo parere obbligatorio del comitato dei garanti.

La seconda - continua la sentenza - riguarda, invece, la correttezza dell’adempimento della prestazione e non necessita di alcuna preventiva autorizzazione in merito alla contestazione.

Su tali presupposti, la Suprema Corte - ritenendo integrata quest’ultima fattispecie nel caso in esame - rigetta il ricorso del dirigente, confermando la legittimità del recesso operato dalla PA datrice.

A cura di WST