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Corte Costituzionale: incostituzionale la richiesta della manifesta insussistenza del fatto per la reintegra del lavoratore


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Con la sentenza n. 125 del 19.05.2022, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della L. 300/1970, nella parte in cui richiede, ai fini della reintegra del lavoratore licenziato per g.m.o., che l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso sia manifesta.

Il caso affrontato

Il Tribunale di Ravenna - nel corso di un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento per g.m.o. irrogato ad un lavoratore assunto nel 2001 - solleva una questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della L. 300/1970 (come novellato dalla c.d. riforma Fornero), per violazione degli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione.
In particolare, il Giudice rimettente sottolinea una illegittima differenziazione tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e quello disciplinare, posto che solo nella prima fattispecie sarebbe richiesta – ai fini della reintegrazione del lavoratore – una insussistenza manifesta del fatto.

La sentenza

La Corte Costituzionale dichiara fondata la questione sollevata, ritenendo ingiustificata la richiesta del legislatore in ordine alla circostanza che l’insussistenza del fatto, solo con riferimento ai recessi economici, debba essere manifesta per concedere la reintegra al lavoratore illegittimamente licenziato.

Secondo la Consulta, detto requisito risulta, infatti, del tutto indeterminato e, come tale, si presta a incertezze applicative che possono condurre a soluzioni difformi con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento. Ciò, in quanto, nella prassi, è indubbiamente problematico il discrimine tra l’evidenza conclamata del vizio e l’insussistenza pura e semplice del fatto.

Ulteriormente – continua la sentenza – nel far leva su un requisito indeterminato e per di più svincolato dal disvalore dell’illecito, la disposizione censurata si riflette sul processo e ne complica taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato. Invero, oltre all’accertamento (non di rado complesso) della sussistenza o della insussistenza di un fatto, si rende necessaria una ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza.

Per i Giudici, infine, la norma in esame merita di essere censurata anche perché lascia che la scelta tra due forme di tutela profondamente diverse sia rimessa a una valutazione non ancorata a precisi punti di riferimento, tanto più necessari quando vi sono fondamentali esigenze di certezza.

Su tali presupposti, la Corte Costituzionale: “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), limitatamente alla parola «manifesta»”.

A cura di Fieldfisher