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Il diritto di critica del lavoratore: la posizione assunta negli anni dalla giurisprudenza


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Nell’ambito del rapporto di lavoro, degli equilibri allo stesso sottesi e dei contrapposti interessi in capo alle parti coinvolte, trova difficile risoluzione la tematica inerente al diritto di critica che il dipendente può avanzare nei confronti del proprio datore.

Tal diritto, che si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, è garantito:
• dall'art. 21 della Cost., secondo cui: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione …”;
• dall'art. 10 della CEDU, a mente del quale “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera …”;
• dall’art. 1 dello Statuto dei lavoratori – rubricato “Libertà di opinione” – che afferma: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”.

Non a caso, proprio in ragione della sua natura di diritto di libertà, il diritto di critica può essere evocato quale scriminate, ai sensi dell'art. 51 c.p., rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva (Cass. sent. n. 17784 del 04.05.2022).

In particolare - a differenza della cronaca, del resoconto o della mera denunzia - la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione e/o di un giudizio valutativo, che (come tale) non può pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, vero o falso.
Diversamente opinando, infatti, si rischierebbe di sindacare la legittimità stessa del contenuto del pensiero, in palese contrasto con le garanzie costituzionali.
In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU, la libertà di esprimere giudizi critici, cioè "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un sufficiente riscontro fattuale.
Dunque, la critica, concretizzandosi nella manifestazione di un'opinione meramente soggettiva, non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica.

Traslando tale principio generale all’interno di una dinamica lavorativa, non possono che venire in evidenza anche gli interessi datoriali che pongono degli evidenti limiti al diritto di critica del lavoratore.
Quest’ultimo, invero, non potrà (con il proprio giudizio valutativo) ledere la reputazione e l’onore del proprio datore, né potrà travalicare il perimetro delineato dall’art. 2105 c.c. per inquadrare l’obbligo di fedeltà del dipendente.

In questo articolato quadro, è la giurisprudenza che – nel corso degli anni – ha tratteggiato i confini del diritto di critica del lavoratore.

 

I. I limiti al diritto di critica

La Suprema Corte, nel definirne i limiti, ha affermato che il diritto di critica deve ritenersi legittimo se esercitato nel rispetto della continenza formale e sostanziale. In particolare, secondo la Cassazione, per non cadere nell’illegittimità dell’esercizio di tale diritto, è necessario che, da un punto di vista sostanziale, i fatti narrati dal lavoratore siano sempre rispondenti ai criteri della veridicità, mentre, da un punto di vista meramente formale, l’esposizione avvenga senza mai travalicare i parametri della correttezza, del decoro e della pertinenza espressiva (Cass. sent. n. 17784 del 04.05.2022).
In particolare, per la giurisprudenza, il limite della pertinenza risulta rispettato laddove la critica risponda ad un interesse meritevole che, nel rapporto di lavoro, è individuato nelle condizioni dello svolgimento della prestazione e nelle dinamiche dell’impresa (Trib. Ancona sent. n. 175 del 05.07.2021).

L’esercizio del diritto di critica dei lavoratori nei confronti del datore, dunque, è lecito laddove sia espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, tenuto conto dell’interesse dei dipendenti ad esprimersi sulle modalità di esercizio dell’attività imprenditoriale che possano avere ricadute sulle condizioni di vita e di lavoro del personale (Trib. Firenze sent. n. 396 del 03.06.2022).

Nei casi ove il diritto di critica sia legittimo, perché avanzato nei limiti sopra citati e senza l’utilizzo di termini offensivi, il relativo esercizio non può ovviamente costituire giusta causa di licenziamento (Cass. ord. n. 11645 del 14.05.2018; sul punto si veda: Cassazione: dipendente ha diritto di criticare l’azienda senza utilizzare termini offensivi).
Licenziamento che non può essere considerato legittimo neanche nell’ipotesi in cui la critica si traduca nella denuncia di fatti illeciti (di rilievo penale o amministrativo) alle autorità competenti, purché la stessa non abbia carattere calunnioso (Cass. sent. n. 17689 del 31.05.2022).

Diversamente, per la giurisprudenza di legittimità, la critica avanzata da un lavoratore nei confronti del proprio datore sfocia in un illecito disciplinare laddove non rispetti i requisiti della verità, continenza e pertinenza (Cass. sent. n. 1379 del 18.01.2019; sul punto si veda: Cassazione: i limiti al diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore).
In particolare, la Cassazione ha avuto modo di ritenere legittimo il licenziamento irrogato ad un lavoratore che, nell’esercizio del diritto di critica – superando i limiti della correttezza formale, imposti dall'esigenza di tutela della persona umana – ha attribuito all'impresa riferimenti denigratori ed ai suoi dirigenti qualità apertamente disonorevoli (Cass. sent. n. 14527 del 06.06.2018; sul punto si veda: Cassazione: legittimo il licenziamento del lavoratore che avanza una critica al datore oltrepassando il c.d. minimo etico).
In presenza di tali circostanze, infatti, la condotta del dipendente è ritenuta idonea a ledere definitivamente il rapporto fiduciario posto alla base del rapporto (Cass. sent. n. 16789 del 06.08.2020).

 

II. Le critiche sui social network

Nell’epoca attuale, in cui la tecnologia ed il web giocano ormai un ruolo da protagonisti in vari ambiti della quotidianità, è naturale che spesso i lavoratori utilizzino i social network per avanzare le proprie critiche alle società datrici.

Anche in questa ipotesi valgono gli stessi limiti innanzi evidenziati.

Dunque, per la giurisprudenza, non è passibile di licenziamento il lavoratore che avanza una critica a mezzo Facebook, se il post è caratterizzato da toni pacati e con riferimenti non offensivi nei confronti della parte datoriale (Trib. Taranto sent. del 26.07.2021; sul punto si veda: Tribunale di Taranto: è legittimo criticare su Facebook le precedenti gestioni aziendali?).

Diversamente, la pubblicazione nella bacheca Facebook del dipendente di messaggi offensivi nei confronti del proprio datore rappresenta una condotta idonea ad incrinare irrimediabilmente il vincolo fiduciario, tanto da giustificare l’irrogazione di un licenziamento per giusta causa. Ciò, anche in virtù del fatto che l’utilizzo del social network comporta la circolazione del commento stesso tra un gruppo di persone certamente apprezzabile per composizione numerica (Cass. sent. n. 10280 del 27.04.2018; sul punto si veda: Cassazione: licenziamento legittimo per il lavoratore che posta su Facebook messaggi offensivi rivolti al proprio datore).
Identico principio applicato anche per la critica, offensiva e denigratoria, avanzata da un dipendente mediante Twitter (Trib. Busto Arsizio sent. n. 62 del 20.02.2018; sul punto si veda: Tribunale di Busto Arsizio: legittimo il licenziamento del dipendente che offende la società via Twitter).

Ulteriormente, è importante rilevare che - secondo la giurisprudenza di legittimità - le critiche avanzate con toni offensivi e ingiuriosi tramite i social network, espongono il lavoratore anche a conseguenze di carattere penale, posto che tale condotta è idonea ad integrare un’ipotesi di diffamazione ex art. 595 c.p.

 

III. Le critiche espresse via chat

Diverso è sicuramente il caso delle chat private.
Infatti, proprio a fronte della natura chiusa delle conversazioni in esse contenute, emerge la volontà del lavoratore di mantenere privato il messaggio e di non voler diffonderne all’esterno il contenuto.

Per la giurisprudenza, dunque, la pubblicazione da parte di un dipendente di frasi offensive nei confronti della società datrice di lavoro all’interno di una chat privata non può essere considerata una condotta tale da giustificare un licenziamento per giusta causa (Cass. ord. n. 21965 del 10.09.2018).
Conclusione quest’ultima che appare ancor più avvalorata nell’ipotesi in cui la conversazione potenzialmente offensiva nei confronti dell’azienda, inserita all’interno di un gruppo whatsapp, risulti alleggerita dalla presenza di emoticon di vario genere e di battute di tipo umoristico (Trib. Parma sent. n. 237/2018 del 07.01.2019; sul punto si veda: Tribunale di Parma: le offese al datore contenute nella chat whatsapp non legittimano il licenziamento se accompagnate dalle emoticon).

 

IV. La particolare posizione dei rappresentanti sindacali

Merita, infine, una considerazione a parte la posizione del rappresentante sindacale che avanzi critiche all’azienda nell’ambito del ruolo affidatogli.

Da un lato, non vi sono particolari dubbi sulla circostanza che deve essere considerato illegittimo il licenziamento irrogato al dipendente con funzioni di delegato sindacale, se la critica all’azienda dal medesimo avanzata rispetta i requisiti della continenza formale e sostanziale (Cass. sent. n. 31395 del 02.12.2019; sul punto si veda: Cassazione: limiti del diritto di critica del lavoratore - sindacalista).

Dall’altro lato, invece, è di più difficile individuazione il limite entro cui la critica del sindacalista deve contenersi.
In questi casi, infatti, l'espressione di pensiero è finalizzata al perseguimento di un interesse collettivo e gode, quindi, di un'ulteriore copertura costituzionale prevista dall'art. 39 Cost.
La Suprema Corte, a tal proposito, ha avuto modo di affermare che la funzione di rappresentante sindacale pone il lavoratore che la ricopre sullo stesso piano del datore, abilitandolo ad esercitare il diritto di critica, che deve, tuttavia, essere soggetto ai limiti del rispetto oggettivo della verità (Cass. sent. n. 10897 del 07.05.2018; sul punto si veda: Cassazione: rappresentante sindacale ha diritto di avanzare critiche alla società, ma solo sulla base di fatti veri).

Oltre a ciò, ovviamente, la critica – per essere esercitata legittimamente – deve essere formulata nel rispetto della correttezza formale, senza denigrazione nei confronti dell’impresa (Cass. sent. n. 18176 del 10.07.2018; sul punto si veda: Cassazione: i limiti al diritto di critica dei rappresentanti sindacali).

Laddove, però, la critica rispetti i due predetti requisiti (veridicità e correttezza formale), la stessa deve essere considerata legittima, anche se espressa con toni e parole sferzanti finalizzate a stigmatizzare gli atteggiamenti e la complessiva condotta del datore.
Tale approccio conflittuale, invero, mira ad esprimere un totale dissenso ideologico e (se in assenza di espressioni inutilmente umilianti o ingiustificatamente aggressive) risulta essere funzionale alla esplicita finalità di disapprovazione propria dei conflitti caratterizzanti le relazioni industriali (Cass. sent. n. 17784 del 04.05.2022).

Pertanto, il sindacalista è legittimato ad avanzare nei confronti del datore di lavoro critiche, anche astrattamente offensive, che risultano pienamente conferenti all'oggetto della controversia se non prendono di mira l’imprenditore personalmente.

 

V. Conclusioni

Per una tutela di entrambe le parti stipulanti il contratto di lavoro, sarebbe opportuna l’adozione da parte delle società di policy chiare sul punto, soprattutto in materia di utilizzo dei social e del web in generale (ipotesi, peraltro, che talvolta trova disciplina anche all’interno della contrattazione collettiva).
Una tale regolamentazione avrebbe una doppia utilità: da un lato, aiuterebbe a prevenire un danno reputazionale alle aziende e, dall’altro, consegnerebbe ai dipendenti un tracciato più definito entro cui gli stessi possono avanzare critiche nei limiti (innanzi esposti) della correttezza e della continenza.

Avv. Matteo Farnetani - Fieldfisher