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Cassazione: dipendente ha diritto di criticare l’azienda senza utilizzare termini offensivi


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Con l’ordinanza n. 11645 del 14.05.2018, la Cassazione afferma che i dipendenti hanno il diritto di criticare l’azienda datrice di lavoro e, pertanto, le rimostranze avanzate senza l’utilizzo di termini offensivi, non possono essere poste quale giustificazione di un licenziamento (sul punto si veda anche: Cassazione: licenziamento legittimo per il lavoratore che posta su facebook messaggi offensivi rivolti al proprio datore).

Il fatto affrontato

La lavoratrice viene licenziata per giusta causa per aver inviato ai propri superiori alcuni messaggi di posta elettronica, al fine di avanzare delle rimostranze circa la propria posizione all’interno dell’azienda.
Nello specifico, viene contestato alla prestatrice che il contenuto delle suddette mail fosse oltraggioso e denigratorio nei confronti della società datrice, nonostante non vi fosse al loro interno traccia di termini offensivi.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte di Appello, afferma la sussistenza in capo ai dipendenti di un diritto di critica nei confronti dell’azienda datrice di lavoro.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, l’invio di mail, da parte del lavoratore ad un proprio superiore gerarchico, contenenti delle semplici lamentele verso la società, espresse per di più con toni appropriati e non offensivi, non può assurgere a fondamento sic et simpliciter della massima sanzione espulsiva.

In tali circostanze, secondo la sentenza, per giustificare un recesso datoriale è necessario che la società provi in che modo il contenuto delle missive rechi danno alla propria immagine ed al proprio decoro.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’azienda, confermando l’illegittimità del licenziamento irrogato alla propria dipendente.

A cura di Fieldfisher