Stampa

Tribunale di Busto Arsizio: legittimo il licenziamento del dipendente che offende la società via twitter


icona

Con la sentenza n. 62 del 20.02.2018, il Tribunale di Busto Arsizio ha affermato la legittimità di un licenziamento irrogato ad un dipendente che, mediante il proprio profilo twitter, aveva postato dei messaggi offensivi e denigratori nei confronti della società datrice, tali da far venir meno il rapporto fiduciario e il vincolo di fedeltà posti alla base del rapporto di lavoro intercorrente tra le parti.

Il fatto affrontato

La società irroga un licenziamento per giusta causa ad un proprio dipendente, contestandogli di aver leso gravemente l’immagine dell’impresa, mediante dei post pubblicati sul proprio profilo twitter, caratterizzati da toni offensivi e denigratori, dai quali emergeva un atteggiamento di forte disprezzo verso l’azienda, gli amministratori ed i potenziali partner commerciali.

La sentenza

Il Tribunale, dopo aver esposto preliminarmente le modalità di utilizzo del social network denominato twitter, afferma che il lavoratore che disconosce in giudizio la paternità dei messaggi pubblicati con il proprio nickname ha l’onere, non assolto nel caso di specie, di provare un’abusiva intromissione nel relativo profilo da parte di soggetti terzi.

Venendo all’offensività del contenuto dei vari tweet, il Giudice evidenzia come il diritto costituzionalmente garantito di esprimere il proprio dissenso rispetto alle opinioni e scelte altrui, deve sottostare a dei limiti, dovendosi utilizzare dei toni non offensivi né ingiuriosi, sì da rimanere nell’alveo di un dialogo civile, costruttivo e legittimo.
Laddove i suddetti limiti vengano superati, è possibile una lesione del rapporto fiduciario e del vincolo di fedeltà posti alla base di ogni rapporti di lavoro, tale da giustificare un licenziamento disciplinare.

Tanto più se, come nel caso di specie, il CCNL applicabile preveda esplicitamente che è passibile di licenziamento per giustificato motivo soggettivo il dipendente che leda l’immagine societaria attraverso un uso inappropriato dei social network.

Su tali presupposti, il Tribunale, rifacendosi alla sovra citata declaratoria contrattuale, ha convertito il licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo, respingendo per il resto il ricorso proposto dal lavoratore e legittimando, quindi, il recesso datoriale.

A cura di Fieldfisher