Stampa

Cassazione: i limiti al diritto di critica dei rappresentanti sindacali


icona

Con la sentenza n. 18176 del 10.07.2018, la Cassazione afferma che il rappresentante sindacale è legittimato ad esprimere liberamente la propria posizione critica nei confronti della società, a condizione che non contravvenga alla correttezza formale, denigrando l’impresa od addebitando alla stessa fatti non provati (sullo stesso argomento si veda anche: Cassazione: rappresentante sindacale ha diritto di avanzare critiche alla società, ma solo sulla base di fatti veri).

Il fatto affrontato

Il lavoratore, avvocato interno di una grande azienda, assunta da pochi giorni la qualifica di sindacalista, esprime per iscritto un suo parere fortemente negativo in ordine all’applicazione della legge professionale 247/2012 agli addetti all’ufficio legale della società.
In conseguenza di ciò viene irrogato al medesimo un licenziamento disciplinare prontamente impugnato in via giudiziale.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che il prestatore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, in relazione all'attività di sindacalista si pone, invece, su un piano paritetico con il datore, con esclusione, quindi, di qualsiasi vincolo.
Ciò in quanto detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., poiché diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore, non può essere subordinata alla volontà di quest'ultimo.

Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, l'esercizio, da parte del rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro, sebbene garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall'esigenza di tutela della persona umana, e sostanziale, nel senso, della veridicità (ancorché putativa) dei fatti denunciati.

Per la sentenza, ne consegue che solo ove tali limiti siano superati con l'attribuzione all'impresa od ai suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore-sindacalista può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare.

Posto che nel caso di specie tali limiti non risultano affatto superati, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento irrogatogli, stante il riconoscimento della sua qualifica di sindacalista, seppur assunta solo da pochi giorni.

A cura di Fieldfisher