Stampa

Tribunale di Parma: le offese al datore contenute nella chat whatsapp non legittimano il licenziamento se accompagnate dalle emoticon


icona

Con la sentenza n. 237/2018 del 07.01.2019, il Tribunale di Parma afferma che, le offese proferite dal lavoratore nei confronti del proprio datore all’interno di una chat su whatsapp, non legittimano il licenziamento del dipendente se dal contenuto della conversazione emerge un tono amicale testimoniato dalla presenza di emoticon di vario genere e di battute di tipo umoristico.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatole per aver proferito -nell’ambito di una chat di gruppo creata con alcune sue colleghe su whatsapp - pesanti offese personali nei confronti del legale rappresentante della società datrice.
A fondamento della predetta domanda, la medesima deduce la mancanza di un intento diffamatorio nei confronti della figura datoriale, testimoniata dal fatto che le espressioni incriminate erano intervallate da emoticon di vario genere e da battute di tipo umoristico.

La sentenza

Il Tribunale di Parma afferma, preliminarmente, l’illegittimità del recesso irrogato alla lavoratrice sul presupposto che, dalla lettura delle intere conversazioni presenti sul gruppo whatsapp, non emergeva alcun intento diffamatorio da parte della lavoratrice.
Secondo il Giudice, infatti, la chat in questione era un luogo ove le colleghe parlavano di quello che succedeva sul lavoro e si sfogavano l’un l’altra, esprimendo altresì commenti negativi sul datore.
Commenti che - pur indubbiamente espressi con toni piccati tali da manifestare l’astio e la scarsa stima nei confronti dell’imprenditore - sono da ricondurre al diritto di critica tutelato dall’art. 21 della Costituzione. Ciò, secondo la sentenza, appare in maniera ancora più pacifica se si tiene presente che il linguaggio usato nelle espressioni oggetto di contestazione è quello disinvolto, seppur volgare, tipico del contesto informale proprio dei social network e che la presenza di emoticon e di battute scherzose donava alla conversazione un tono ironico più che critico.

Ulteriormente, il Giudice sottolinea che l’intento diffamatorio debba essere escluso anche perché le conversazioni erano intervenute in un ambito meramente privato, dovendosi così considerare le mailing list riservate, i newsgroup o le chat con un numero di utenti limitati, per i quali è, peraltro, prevista la tutela di segretezza della corrispondenza, ex art. 15 della Costituzione.

Su tali presupposti, il Tribunale di Parma accoglie il ricorso della lavoratrice, riconoscendo alla stessa un’indennità ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. 23/2015.

A cura di Fieldfisher