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Cassazione: licenziabile il lavoratore che non avvisa il datore delle irregolarità dei colleghi


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Con la sentenza n. 30558 del 22.11.2019, la Cassazione afferma che la condotta del dipendente che non avvisa l’azienda delle irregolarità poste in essere dai colleghi, integra la giusta causa di licenziamento per violazione del dovere di diligenza e dell’obbligo di fedeltà.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli per non aver denunciato alla società la prassi irregolare, di cui era venuto a conoscenza, instaurata nella procedura di aggiudicazione delle gare aventi ad oggetto la riparazione dei veicoli aziendali.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che il compito di vigilare sulla corretta procedura di affidamento delle gare e di riferire alla direzione aziendale eventuali irregolarità riscontrate spettava unicamente al superiore gerarchico del ricorrente.

La sentenza

La Cassazione - ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che il criterio della diligenza non deve essere commisurato soltanto al tipo di attività che è oggetto della prestazione, alle mansioni e alla qualifica professionale del dipendente, ma deve correlarsi, in una prospettiva più ampia che travalichi i caratteri dell'attività lavorativa in senso stretto, all'interesse dell'impresa (art. 2104 c.c.).

Ulteriormente, secondo i giudici di legittimità, a tale dovere deve aggiungersi l'obbligo di fedeltà, il quale – letto in combinato disposto con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. – impone al lavoratore di astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c., ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del dipendente nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto.

Per la sentenza, dunque, anche una condotta omissiva del prestatore che possa in qualche modo ledere gli interessi aziendali, integra una giusta causa di recesso, facendo venir meno la fiducia che il datore ripone nel proprio dipendente.

Applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte accoglie il ricorso della società, cassando con rinvio l’impugnata pronuncia di merito.

A cura di Fieldfisher