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Guida pratica ai criteri di quantificazione del risarcimento nel d.lgs. n. 23/2015


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1. PREMESSA E INTENTO DEL CONTRIBUTO

A seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 87/2018, attualmente l’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 punisce l’illegittimità del licenziamento intimato da un’impresa con più di 15 dipendenti con un risarcimento compreso tra un minimo di 6 ed un massimo di 36 mensilità (salva l’ipotesi del tutto residuale della tutela reintegratoria).

All’ampiezza della forbice si aggiunge la discrezionalità (ri)acquisita dai giudici a seguito della nota sentenza n. 194/2018, con cui la Corte Costituzionale ha eliminato l’originario automatismo risarcitorio basato sull’anzianità aziendale, invitando a tener conto di altri criteri - a maglie larghe - “desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti”, quali “numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti” (sul punto si veda: Indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo: la posizione assunta dalla giurisprudenza di merito).

Al fine di verificare la tendenza dei giudici in sede di quantificazione del risarcimento - che consenta di stimare anticipatamente, almeno in termini approssimativi, i costi economici derivanti da una potenziale declaratoria di illegittimità del licenziamento - ho analizzato 72 sentenze (ossia tutte quelle edite sulle principali banche dati) emesse dal 2020 ad oggi relative a lavoratori soggetti al D.Lgs. n. 23/2015 addetti ad imprese con più di 15 dipendenti.

 

2. LE SENTENZE RELATIVE A LAVORATORI CON ANZIANITÀ AZIENDALE MINIMA

Il primo gruppo di sentenze analizzate riguarda lavoratori con anzianità aziendale minima, entro i 2-3 anni.

Su un totale di 56 sentenze, soltanto in 19 casi (circa 1 su 3) i giudici hanno riconosciuto un risarcimento pari al minimo di legge di 6 mensilità.

Si tratta quasi sempre di licenziamenti disciplinari, ritenuti illegittimi per ragioni formali o per la sproporzione della sanzione espulsiva, nei quali la meritevolezza di un possibile incremento del risarcimento rispetto al minimo di legge è stata esclusa per via della condotta del lavoratore “non conforme ai canoni di esecuzione del contratto secondo buona fede e correttezza” (Trib. Udine 07/06/2022, n. 120; in termini analoghi v. App. Roma 07/06/2022, n. 1878; App. Roma 22/12/2021, n. 4477; App. Bolzano 26/11/2021, n. 45 e App. Milano 09/02/2021, n. 842).

Altre volte, in diversa prospettiva, i giudici hanno ritenuto congruo un risarcimento pari al minimo di legge considerando la “giovane età del ricorrente” (Trib. Roma 04/01/2021, n. 8225), la nuova occupazione reperita (Trib. Milano 03/06/2021, n. 1504; Trib. Firenze 11/06/2020, n. 226) e la “disponibilità conciliativa manifestata dalla società anche in sede stragiudiziale” (App. Milano 31/12/2020, n. 788).

Nella maggior parte dei casi (37 su 56), i giudici, nonostante la ridotta, a volte ridottissima, anzianità aziendale, hanno riconosciuto un risarcimento superiore al minimo di legge.

Quando ciò è accaduto, l’incremento rispetto al minimo di legge è stato generalmente compreso tra le 2 e le 4 mensilità (in 29 casi), più raramente tra le 5 e le 6 mensilità (in 6 casi). Soltanto in due casi l’incremento è stato superiore, con risarcimenti che si sono attestati a 15 e 18 mensilità.

Il criterio prevalentemente utilizzato nella casistica esaminata per giustificare l’incremento del risarcimento è quello del “numero dei dipendenti occupati” e delle “dimensioni dell’impresa”.

È interessante osservare come detto criterio sia disinvoltamente richiamato, ai medesimi fini, sia nei confronti di grandi imprese, con centinaia di dipendenti (come i 512 di Trib. Roma 12/04/2021, n. 3406; i 421 di Trib. Velletri 16/07/2022, n. 837; i 207 di Trib. Roma 04/01/2021, n. 8225; i 137 di Trib. Bergamo 08/03/2022, n. 131; i 127 di Trib Rovigo 07/05/2021, n. 102, ecc.), sia nei confronti di imprese di dimensioni ridotte, con un numero di addetti appena sopra la soglia di legge (come i 16 di App. Perugia 30/12/2021, n. 292; i 18 di Trib. Taranto 22/09/2021, n. 2045, i 19 di App. Catanzaro 20/10/2020, n. 758; i 20 di Trib. Palermo 18/11/2021, n. 4324; i 26 di Trib. Milano 10/05/2022, n. 831 e di Trib. Monza 01/10/2020, n. 292).

Talvolta, in funzione “punitiva-dissuasiva”, i giudici hanno fondato l’incremento del risarcimento rispetto al minimo di legge anche sulla scorrettezza del datore di lavoro che, per citare dalla casistica esaminata:
- ha “omesso integralmente la procedura ex l. n. 223/91, intimando un licenziamento per gmo”, così da “evitare la sospensione della procedura di licenziamento collettivo che l’art. 46 d.l. n. 18/2020” e impedire al lavoratore di “fruire del ristoro della cassa integrazione prevista in virtù della pandemia” (Trib. Roma 12/04/2021, n. 3406);
- ha tenuto “comportamenti di sopraffazione e prevaricazione a seguito dei quali [il ricorrente] sviluppò una Sindrome ansioso depressiva” (Trib. Firenze 11/06/2020, n. 227);
- ha “più volte trasferito il ricorrente, [e lo] ha licenziato dopo che questi era stato nominato rappresentante sindacale aziendale” (Trib. Roma 19/05/2020, n. 2503);
- “non ha ritualmente esplicitato, neanche in sede giudiziale, le ragioni di fatto del licenziamento” (Trib. Cagliari 29/07/2020, n. 585);
- ha “sottoposto il dipendente a due consecutivi procedimenti disciplinari, immediatamente anteriori al licenziamento … rimasti senza esito” (App. Perugia 30/12/2021, n. 292);
- ha licenziato per assenza ingiustificata in “periodo di malattia”, a fronte di uno “stato di scarsa chiarezza della situazione giuridica e medica” (Trib. Foggia 15/07/2021, n. 2935).

Altre volte, in funzione “assistenziale”, sono state valorizzate circostanze quali “l’età non giovanissima del lavoratore con conseguente difficile ricollocabilità nel mercato del lavoro” (Trib. Venezia 09/03/2022, n. 161; Trib. Venezia 04/11/2021, n. 658), la “disparità economica tra le parti” (Trib. Lecce 19/06/2020, n. 1402), le “elevate aspettative di carriera che ragionevolmente poteva nutrire il ricorrente, stante anche il livello di assunzione” (Trib. Rovigo 07/05/2021, n. 102), il “curriculum formativo e professionale di tutto rispetto” del lavoratore, che in vista dell’assunzione presso la convenuta aveva lasciato “un rapporto lavorativo vantaggioso” (App. Genova 22/10/2020, n. 192), le “gravi situazioni personali e familiari” del ricorrente (App. Roma 06/07/2021, n. 2810).

 

3. LE SENTENZE RELATIVE A LAVORATORI CON ANZIANITÀ AZIENDALE MEDIA

Il secondo gruppo di sentenze analizzate riguarda lavoratori con anzianità aziendale media, compresa tra 3 e 7 anni.

Su un totale di 8 sentenze, in 4 casi il risarcimento è stato incrementato rispetto all’importo risultante dall’applicazione dell’automatismo basato esclusivamente sull’anzianità aziendale, censurato dalla Corte Costituzionale.

In questi casi, per giustificare l’incremento - nella casistica esaminata sempre compreso tra le 2 e le 4 mensilità - i giudici hanno fatto riferimento a criteri analoghi a quelli sopra descritti: l’elevato numero di dipendenti (oltre 500 nel caso di Trib. Milano 12/04/2022, n. 974 ed oltre 100 nel caso di Trib. Palermo 05/02/2021, n. 449), l’“elevata professionalità [del] ricorrentenon facilmente spendibile nel mercato del lavoro” (Trib. Venezia 12/01/2021, n. 12), la condotta scorretta del datore di lavoro, che non ha rispettato i “criteri di cui all’art. 5 l. 223 [che] avrebbe[ro] comportato il mantenimento in servizio” (Trib. Brescia 11/11/2021, n. 381).

In 3 casi è stato invece riconosciuto un risarcimento inferiore a quello in ipotesi spettante in forza dell’automatismo basato sull’anzianità aziendale.

A stupire in tali casi è il contraddittorio richiamo a criteri che all’apparenza sembrano giustificare un incremento del risarcimento, quali il “comportamento scarsamente aderente ai canoni di correttezza e buona fede tenuto dal datore” (Trib. Roma 12/08/2020, n. 2547), le “dimensioni dell’azienda (94 dipendenti)”, il “carattere evidente della violazione dell’obbligo di repêchage” (App. Milano 21/12/2021, n. 1414), la “scelta [della convenuta] di rimanere contumace” (Trib. Napoli 30/09/2021, n. 5321).

Nel restante caso il risarcimento è coinciso con un importo pari a due mensilità per ognuno dei 5 anni di anzianità aziendale vantata dal ricorrente, tenuto conto, da un lato, dell’elevato “numero dei dipendenti” (188) e, dall’altro, del reperimento di “una nuova occupazione” (Trib. Mantova 23/09/2020, n. 79).

 

4. LE SENTENZE RELATIVE A LAVORATORI CON ANZIANITÀ AZIENDALE ELEVATA

L’ultimo gruppo di sentenze analizzate riguarda lavoratori con anzianità aziendale elevata, dagli 8 anni in su, frutto dell’adibizione a precedenti appalti, rilevante ex art. 7 del D.Lgs. n. 23/2015.

Su un totale di 8 sentenze, soltanto in un caso vi è stato un incremento del risarcimento rispetto all’importo risultante dall’applicazione dell’automatismo basato sull’anzianità aziendale.

Si trattava di un lavoratore con 8 anni di anzianità aziendale, al quale è stato (generosamente) riconosciuto un risarcimento di 25 mensilità, tenuto conto delle “dimensioni della società” (75 addetti) e del “comportamento della stessa, che ometteva di attivare il procedimento disciplinare, limitandosi a constatare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore per assenza di utili posizioni” (Trib. Lucca 03/02/2021, n. 35).

In 5 casi il risarcimento è invece coinciso con un importo pari a due mensilità per ogni anno di anzianità aziendale, attestandosi così tra le 16 e le 26 mensilità (App. Milano 22/12/2021, n. 1490; Trib. Roma 30/06/2021, n. 1412; Trib. Frosinone 10/03/2021, n. 222 Trib. Bergamo 25/02/2020, n. 116) e raggiungendo in un caso il tetto delle 36 mensilità (App. Roma 20/07/2022, n. 2630).

I restanti due casi esaminati sono molto particolari.

In uno il giudice, pur annullando il licenziamento disciplinare, ha verosimilmente voluto “punire” la disinvolta condotta del ricorrente, operatore socio-sanitario uso a richiedere denaro ai pazienti, riconoscendogli un risarcimento di 15 mensilità, nonostante i 17 anni di anzianità aziendale (Trib. Trani 09/12/2021, n. 2010).

Nell’altro il giudice ha forse errato nell’applicazione dei parametri del D.Lgs. n. 23/2015: non si spiega altrimenti per quale motivo, a fronte di un’anzianità aziendale di 16 anni, ha riconosciuto un risarcimento di 16 mensilità alla luce della ridotta “gravità dei fatti” contestati e dell’“assenza di precedenti specifici a carico del lavoratore” (Trib. Modena 21/07/2021, n. 334).

 

5. CONCLUSIONI

Dall’analisi emerge la netta tendenza dei giudici, in presenza di un’anzianità aziendale media e anche minima, ad incrementare il risarcimento rispetto al minimo di legge o comunque rispetto all’importo risultante dall’applicazione dell’automatismo censurato dalla Corte Costituzionale.

L’incremento è però di regola contenuto, tant’è che solo eccezionalmente, nella casistica esaminata, il risarcimento ha superato le 12 mensilità, attestandosi in tutti gli altri casi nella fascia bassa della forbice dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015.

Il che conferma ulteriormente la differenza di trattamento tra i lavoratori soggetti al D.Lgs. n. 23/2015 e quelli soggetti all’art. 18 Stat. Lav., che in caso di illegittimità del licenziamento sono destinatari di un risarcimento compreso tra le 12 e le 24 mensilità, sempreché non risulti applicabile la tutela reintegratoria, diventata ormai prevalente (sul punto si veda: La progressiva espansione per via pretoria della tutela reintegratoria nei licenziamenti disciplinari e nei licenziamenti per motivi oggettivi).

Con il crescere dell’anzianità aziendale si assiste ad una inversione di tendenza.

Emerge infatti una maggior cautela dei giudici, che nella maggior parte dei casi esaminati hanno fatto coincidere il risarcimento con l’importo risultante dall’applicazione dell’automatismo basato sull’anzianità aziendale, astenendosi dall’operare incrementi.

Il che non stupisce, ove si pensi che per lavoratori con elevata anzianità aziendale il meccanismo risarcitorio originariamente previsto dall’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 può ben risultare idoneo a garantire - per riprendere la sentenza n. 194/2018 - “un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente”.

Avv. Giuseppe Paone - Fieldfisher