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Cassazione: rifiuto al trasferimento, se contrario a buona fede legittima il licenziamento


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Con la sentenza n. 7392 del 07.03.2022, la Cassazione afferma che la mancata presentazione in servizio del lavoratore illegittimamente trasferito, comporta conseguenze disciplinari laddove la condotta sia posta in essere in violazione del principio della buona fede.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per assenza ingiustificata per non essersi presentata presso la sede aziendale ove era stata trasferita.
La Corte d’Appello accoglie solo parzialmente la predetta domanda, ritenendo che il recesso fosse nel merito fondato seppur affetto da un vizio formale.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva che, in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione.

In particolare, secondo i Giudici di legittimità, è necessaria una ulteriore valutazione, posto che il rifiuto dello svolgimento delle mansioni presso la nuova sede di adibizione risulta disciplinarmente rilevante laddove sia contrario a buona fede.

Per la sentenza, la relativa verifica deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie, tenendo conto, quindi, della entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto e della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale sulle fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della lavoratrice, ritenendo fondato il licenziamento per rifiuto del trasferimento.

A cura di Fieldfisher