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Cassazione: onere della prova in caso di contestazione della busta paga


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Con l’ordinanza n. 27749 del 03.12.2020, la Cassazione afferma che, in caso di sottoscrizione della busta paga per ricevuta e quietanza, grava sul lavoratore l'onere di provare la non corrispondenza tra quanto riportato nel cedolino e la retribuzione effettivamente ricevuta.

Il fatto affrontato

Il lavoratore ricorre giudizialmente nei confronti della sua ex datrice di lavoro al fine di ottenere il pagamento della somma di € 97.890,59 per le retribuzioni non corrispostegli durante gli 8 anni di rapporto.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, deducendo che le buste paga prodotte dall’azienda per il periodo in contestazione erano tutte sottoscritte dal dipendente "per ricevuta/quietanza".

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che è onere del datore di lavoro di consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli elementi della retribuzione.

Secondo i Giudici di legittimità, detti prospetti, anche se eventualmente sottoscritti dal lavoratore con la formula "per ricevuta", non sono sufficienti per ritenere effettuato il relativo pagamento, potendo gli stessi costituire prova solo dell'avvenuta consegna della busta paga.

Diversamente, per la sentenza, laddove i prospetti paga presentino una regolare dichiarazione autografa di quietanza del lavoratore, l'onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul dipendente.

Su tali presupposti, la Suprema Corte – non ritenendo adempiuto il suddetto onere probatorio da parte del lavoratore – rigetta il ricorso dal medesimo presentato.

A cura di Fieldfisher