Con la sentenza n. 2362 del 12.03.2021, il Tribunale di Roma afferma che il licenziamento irrogato - durante il periodo di vigenza del divieto posto dalla normativa emergenziale - per cessazione dell’attività di impresa, è nullo se il datore non prova anche la messa in liquidazione della società.
Il fatto affrontato
Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli, con lettera del 07.09.2020, per cessazione dell’attività aziendale.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce la nullità del provvedimento datoriale per violazione della normativa emergenziale che vietava il recesso per giustificato motivo oggettivo.
Il decreto
Il Tribunale di Roma rileva, preliminarmente, che - durante il periodo emergenziale – il D.L. 18/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”), il D.L. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio), il D.L. 104/2020 ed il D.L. 137/2020, hanno previsto che il divieto generalizzato di licenziamento per motivi oggettivi, subisse delle deroghe.
Una delle eccezioni al divieto, come sottolinea il Giudice, è rappresentata dalla possibilità di irrogare il licenziamento in ipotesi di cessazione definitiva dell’attività di impresa.
In tal caso, continua la sentenza, il datore - come richiesto dalla citata normativa emergenziale - non può limitarsi, però, a fornire la prova di non svolgere alcuna attività, ma deve provare che l’esercizio dell’impresa è cessato in modo definitivo, in conseguenza della messa in liquidazione della società.
Non avendo la società assolto detto onere nel caso di specie, il Tribunale di Roma accoglie il ricorso e dichiara la nullità dell’impugnato licenziamento.
A cura di Fieldfisher