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Tribunale di Bari: la tempestività della contestazione nei licenziamenti irrogati per violazione dell’obbligo di fedeltà


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Con la sentenza n. 926 del 25.03.2021, il Tribunale di Bari afferma che, anche nei licenziamenti irrogati per violazione dell’obbligo di fedeltà, il requisito dell'immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, a seconda della difficoltà dell'accertamento e della valutazione dei fatti ovvero della complessità della struttura organizzativa dell'impresa.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli per aver effettuato, nella sua mansione di sportellista, operazioni di prelevamento non richieste nei conti correnti di alcuni clienti.
A fondamento della domanda, deduce, tra le altre cose, la non tempestività della contestazione, risalente al 06.04.2016 per operazioni perpetrate nel periodo dicembre 2015 – gennaio 2016.

La sentenza

Il Giudice afferma preliminarmente che, ai fini della valutazione della tempestività della contestazione, di cui all’art. 7, comma 2, della L. 300/1970, è necessario valutare il momento in cui i fatti a carico del lavoratore, costituenti illecito disciplinare, appaiano ragionevolmente sussistenti.
Una tale regola risponde all’esigenza di tener conto dei contrapposti interessi delle parti: quello del datore, orientato a non avviare procedimenti disciplinari senza che siano stati acquisiti dati essenziali della vicenda di fatto, e quello del lavoratore teso ad evitare la contestazione di un fatto ad una ragionevole distanza temporale dalla commissione.

Per la sentenza, detto requisito risulta rispettato nel caso di specie, ove nel gennaio 2016 venivano avviate le indagini sui fatti in contestazione, implicanti l'acquisizione di documentazione contabile di conforto e l'audizione del personale aziendale e dei clienti coinvolti.

Secondo il Giudicante, i fatti come accertati non possono che integrare una violazione dell'obbligo di fedeltà, che come tale rileva una giusta causa di licenziamento.
Il lavoratore, infatti, deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del dipendente nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'azienda o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso.

Su tali presupposti, il Tribunale di Bari rigetta il ricorso del lavoratore, dichiarando legittimo il licenziamento irrogatogli.

A cura di Fieldfisher