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Cassazione: licenziato il lavoratore che non timbra il cartellino quando si allontana dall’ufficio


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Con la sentenza n. 29028 del 19.10.2023, la Cassazione afferma che tutte le condotte del pubblico dipendente che inducono in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza in servizio dello stesso legittimano il suo licenziamento disciplinare.

Il fatto affrontato

La dipendente impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole dal Comune datore per assenza ingiustificata dal lavoro con falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo provate le condotte – già oggetto del procedimento penale definito con sentenza di patteggiamento – consistenti nella timbratura del badge in dotazione sia in entrata che in uscita per sé e per altra collega in orari in cui una o entrambe non erano effettivamente presenti sul lavoro.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello – rileva, preliminarmente, che le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dall’art. 55 quater del D.Lgs. 165/2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva, le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto.

Secondo i Giudici di legittimità, l’ipotesi di recesso introdotta dal legislatore si integra in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in servizio durante l'intervallo temporale compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita.

Per la sentenza, infatti, la condotta che si compendia nell'allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili è idonea, oggettivamente, ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro e costituisce, ad un tempo, condotta penalmente rilevante e giusta causa di licenziamento.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della dipendente, confermando la legittimità del licenziamento irrogatogli.

A cura di Fieldfisher