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Cassazione: in caso di addebito che non danneggia il datore spetta al lavoratore la tutela risarcitoria ex art. 18, comma 5, l. 300/1970


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Con l’ordinanza n. 17887 del 06.07.2018, la Cassazione afferma che nel caso in cui sia provato l’addebito mosso dalla società al dipendente, ma lo stesso non provochi alcun danno al datore, il licenziamento deve considerarsi illegittimo con applicazione della tutela risarcitoria prevista dal quinto comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come novellato dalla l. 92/2012 (sullo stesso argomento si veda anche: L’art. 18 (commi 1-6) dello Statuto dei Lavoratori nella giurisprudenza).

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla società datrice per non aver trasmesso all’ufficio contabilità i consuntivi dei lavori svolti da un subappaltatore nei confronti di un importante cliente.
A seguito di ciò, la Corte d’Appello riconosce al prestatore il risarcimento di cui al quinto comma dell’art. 18 della l. 300/1970, sul presupposto che, pur essendo provato l’addebito, lo stesso non ha provocato alcun danno all’azienda che ha continuato ad avere con le altre due imprese coinvolte rapporti commerciali con identici volumi di fatturato.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che, in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione rispetto all'illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto ed a tutte le circostanze del caso.

Secondo i Giudici di legittimità, nel caso in cui l'inadempimento sia provato dal datore in assolvimento dell'onere su di lui incombente ex art. 5 della l. 604/1966, lo stesso deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c.
Ne consegue che l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale addirittura da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria - durante il periodo di preavviso - del rapporto.

Non ritenendo dette circostanze presenti nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando in toto la motivazione resa nell’impugnata sentenza di merito.

A cura di Fieldfisher