Con l’ordinanza n. 32522 del 23.11.2023, la Cassazione afferma che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione alle dipendenze della ordinaria datrice a seguito della declaratoria di illegittimità della cessione del ramo di azienda cui il lavoratore era adibito.
Il fatto affrontato
Il lavoratore, a seguito della declaratoria di illegittimità ed inefficacia della cessione del ramo di azienda cui era adibito, ricorre contro la sua originaria datrice stante la mancata ottemperanza della stessa all’ordine di reintegro.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, affermando che al ricorrente nulla era dovuto a titolo di prestazione lavorativa non ripristinata per volontà datoriale in quanto egli era titolare di pensione di anzianità.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, la disciplina legale dell'incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale, determinando la sospensione dell'erogazione della prestazione pensionistica, ma non comportando l'invalidità del rapporto di lavoro.
Parimenti, per la sentenza, il risarcimento del danno spettante ex lege non può essere diminuito degli importi che il lavoratore abbia ricevuto a titolo di pensione, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecatogli dal licenziamento (quale "aliunde perceptum") non qualsiasi reddito percepito, bensì solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal dipendente.
A cura di Fieldfisher