Con l’ordinanza n. 10648 del 23.04.2025, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto: “in base alla normativa dell'Unione europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, la definizione di "orario di lavoro" va intesa in opposizione a quella di "riposo", con reciproca esclusione delle due nozioni; l'obbligo, per il lavoratore, di svolgere turni di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, va considerato orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito; la retribuzione dovuta per tali prestazioni deve essere conforme ai criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'art. 36 Cost.”.
Il fatto affrontato
Il lavoratore, dipendente di una cooperativa sociale, ricorre giudizialmente al fine di ottenere le differenze retributive legate allo svolgimento di turni che determinavano il superamento dell'orario settimanale di 38 ore, in forza di pernottamenti notturni presso la struttura in regime di reperibilità.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo che detti turni fossero compensati con una apposita indennità prevista dal CCNL di riferimento.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che, secondo la nozione comunitaria, va definito orario di lavoro qualunque periodo temporale in cui il lavoratore non è a riposo.
Per la sentenza, ne consegue che l'obbligo di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, comprime significativamente la gestione del proprio tempo, che non è più tempo libero, da parte del dipendente interessato.
Alla luce di ciò, secondo i Giudici di legittimità, l'integralità di siffatto periodo deve essere qualificata come orario di lavoro e, come tale, deve essere adeguatamente retribuita.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal lavoratore, statuendo la debenza delle richieste differenze retributive.
A cura di WST