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Cassazione: va computata anche la risoluzione consensuale ai fini del licenziamento collettivo


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Con l’ordinanza n. 15401 del 20.07.2020, la Cassazione afferma che nel numero minimo di cinque licenziamenti - in presenza dei quali, in base all’art. 4 della L. 223/1991, deve essere attivata la procedura collettiva di informazione e consultazione sindacale - rientrano anche le risoluzioni consensuali che siano l’esito di un trasferimento comunicato dal datore e non accettato dal dipendente.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente la risoluzione consensuale, sottoscritta a seguito della mancata accettazione del trasferimento propostogli dalla società datrice, per violazione della legge 223/1991.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce che detta risoluzione doveva essere considerata alla stregua di un recesso da inserire nell’ambito di una procedura collettiva.

L’ordinanza

La Cassazione - nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello - afferma, preliminarmente, che secondo l'art. 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di «licenziamento» il fatto che un datore proceda, unilateralmente ed a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del dipendente, da cui consegua la cessazione del contratto, anche su richiesta dal prestatore medesimo.

Secondo i Giudici di legittimità, in altre parole, la predetta fattispecie va estesa a tutte quelle ipotesi in cui la risoluzione, pur non derivando formalmente da un atto di licenziamento, sia riconducibile ad una riorganizzazione aziendale da cui sia derivata la cessazione del rapporto di lavoro.

Per la sentenza, l’interpretazione conforme ai canoni dettati dai Giudici comunitari supera ed assorbe l’indirizzo contrario maturato in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui - nell’ambito di una procedura di riduzione del personale ai sensi dell’art. 4 della L. 223/1991 - il termine «licenziamento» andava inteso in senso rigorosamente tecnico, senza potervi ricondurre altre fattispecie di cessazione del rapporto di lavoro riconducibili, in tutto o in parte, a una scelta del dipendente (quali dimissioni, risoluzioni consensuali o prepensionamenti).

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso del lavoratore e cassa con rinvio l’impugnata sentenza di merito.

A cura di Fieldfisher