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Tribunale di Milano: discriminatorie le offese ai colleghi di diversa etnia


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Con l’ordinanza del 24.01.2020, il Tribunale di Milano afferma che l’utilizzo di frasi che realizzino forme di offesa verso lavoratori appartenenti ad altra etnia, integra una discriminazione ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. 215/2003 in tema di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza.

Il fatto affrontato

Tre lavoratori di origine africana, dipendenti presso un ristorante, ricorrono giudizialmente avverso la società datrice ed un loro collega, al fine di ottenere l’ordine di immediata cessazione dei comportamenti discriminatori posti in essere nei loro confronti e l’adozione di provvedimenti volti alla rimozione dei relativi effetti, con conseguente riconoscimento di un risarcimento del danno da quantificarsi in via equitativa.
A fondamento della predetta domanda, i medesimi deducono, da un lato, di essere oggetto di continui insulti, quali “negro di me…” o “ti rimando in Africa”, da parte degli altri dipendenti e, dall’altro, di essere stati costretti a sollevarsi la maglietta per permettere ad un loro collega di spruzzargli addosso del deodorante.

L’ordinanza

Il Tribunale di Milano afferma, preliminarmente, che l’utilizzo di appellativi chiaramente riferiti alla razza, che accostano all’etnia vari generi di offesa ed esprimono un sentimento di forte rifiuto nei confronti dello straniero, costituisce un comportamento offensivo ed umiliante.
Tali condotte integrano, senza dubbio, una discriminazione – sottoforma di molestia – così come disciplinata dall’art. 2 del D.Lgs. 215/2003 (emanato in “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica”).

Per il Giudice, anche laddove tali comportamenti siano stati posti in essere esclusivamente da alcuni dipendenti, deve ritenersi responsabile pure la società datrice ai sensi degli artt. 2087 e 2049 c.c.
L’art. 2087 c.c., infatti, impone al datore di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti. E non v’è dubbio che tra gli obblighi che la norma impone vi sia anche quello di assicurare un ambiente lavorativo nel quale la persona non sia vittima di soprusi, trattamenti degradanti, umilianti e discriminatori.
L’art. 2049 c.c., invece, prevede un’ipotesi di responsabilità indiretta, ogniqualvolta, un fatto illecito si sia consumato in presenza di un nesso di occasionalità necessaria tra il lavoro svolto dal dipendente e l’illecito stesso.

Su tali presupposti, il Tribunale di Milano condanna al risarcimento del danno sia il lavoratore evocato in giudizio che la società, ordinando a quest’ultima anche di adottare misure atte a sensibilizzare la coscienza dei dipendenti verso tematiche di tutela dei colleghi di diversa etnia.

A cura di Fieldfisher