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CCNL e costi della manodopera nella revisione del Codice degli appalti


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Il decreto legislativo del 31 dicembre 2024, n. 209 - “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” - ha apporto diverse novità, alcune riguardanti il “Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore” (art. 11 del Codice).

Il nuovo decreto legislativo lascia fermo il  “Principio” generale fissato dall’art. 11, comma 1: “ Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente”.

Le innovazioni riguardano il comma 2 dell’art. 11, che nella versione vigente dal 31 dicembre 2024 conferma l’obbligo delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti di indicare il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente e aggiunge che a tale indicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono procedere “… in conformità al comma 1 e all'allegato I.01”.

Il rinvio all’Allegato I.01 rappresenta una delle novità della integrazione del Codice dei contratti ed è su tale allegato che va concentrata l’attenzione non prima, tuttavia, di aver considerato una ulteriore innovazione.

Questa è rappresentata da un nuovo comma inserito all’interno dell’art. 11:   “2-bis.    In presenza di prestazioni scorporabili, secondarie, accessorie o sussidiarie, qualora le relative attività siano differenti da quelle prevalenti oggetto dell'appalto o della concessione e si riferiscano, per una soglia pari o superiore al 30 per cento, alla medesima categoria omogenea di attività, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano altresì nei documenti di cui al comma 2 il contratto collettivo nazionale e territoriale di lavoro in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabile al personale impiegato in tali prestazioni”.

Prima, pertanto, veniva prefigurata l’indicazione di un solo contratto da parte delle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti in relazione all’attività prevalente da espletare per l’esecuzione dell’appalto o della concessione.

Ora, sulla base del comma 2-bis, viene evidenziata la possibilità   che le stazioni appaltati debbano indicare due o, addirittura, più di due contratti collettivi.

L’allegato I.01 intitolato a “Contratti collettivi” - Il primo articolo dell’Allegato precisa l’oggetto di cui lo stesso tratta,  riguardante sia i criteri per l’individuazione del/i contratto/i da parte delle  stazioni appaltanti o dell’ente concedente che la dichiarazione di equivalenza delle tutele che gli operatori economici possono affermare nella propria offerta qualora vogliano applicare un contratto collettivo diverso.

Rinviando l’approfondimento sulla equivalenza delle tutele ad un altro contributo, è utile sottolineare le indicazioni metodologiche che l’art.  2 fornisce alle stazioni appaltanti e agli concedenti per orientarle nel dare seguito all’obbligo che l’art. 11 a loro addossa in merito alla identificazione del contratto collettivo applicabile.

Per la rilevazione della stretta connessione (dell'ambito di applicazione) del contratto collettivo rispetto alle prestazioni oggetto dell'appalto o della concessione, da eseguire anche in maniera prevalente, la prescrizione fornita è di far riferimento ai  codici ATECO  definiti dall'ISTAT e alla classificazione dei contrati collettivi effettuata dal CNEL.

Nella classificazione ATECO le varie attività economiche sono raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni, divisioni, gruppi, classi, categorie e sottocategorie.

A sua volta, il CNEL classifica i contratti collettivi in macrosettori e settori, tenendo conto dell’ambito di applicazione dei vari contratti.

Grazie a  tali classificazioni è possibile, secondo l’Allegato I.01, individuare quale è il codice ATECO  dell’attività da svolgere in esecuzione dell’appalto o della concessione e quale contratto  collettivo, secondo la classificazione CNEL, riguarda la predetta attività.

Operazione, già questa, con profili di problematicità.

La classificazione CNEL abbraccia 14 macrosettori, fra cui anche il macrosettore “CCNL multisettoriali”, relativi ad una pluralità di settori tanto da essere classificati in più settori.

Un contratto collettivo specializzato nella particolare attività da svolgere e un contratto collettivo intersettoriale che abbraccia  anche tale attività e molte altre, sono da porre sullo stesso piano nell’individuare il contratto collettivo con l’ambito di applicazione strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione?

La nuova normativa non aiuta a rispondere a tale interrogato e, anzi, dà l’impressione di non considerarlo rilevante.   

Una volta individuato il contratto collettivo o i contratti collettivi strettamente connessi con l’oggetto dell’appalto o della concessione, c’è la necessità  di prestare attenzione ai soggetti collettivi che ne sono autori.

Nello schema di decreto legislativo, comparivano  disposizioni dell’Allegato I.01 che direttamente fornivano criteri per misurazione della rappresentatività. Criteri assoggettati a critica da una pluralità di associazioni imprenditoriali (v. Appalti e misurazione della rappresentatività. Criticità evidenziate dalle associazioni datoriali.).

Nella versione dell’Allegato entrata in vigore, si constata, da una parte, la rinuncia a  confermare i criteri inizialmente previsti e, dall’altra, un rinvio all’art. 41, comma 13, del medesimo Codice dei contratti pubblici.

Da tale rinvio deriva che le stazioni appaltanti o gli enti concedenti, ai fini  della individuazione del contratto collettivo da in indicare fra quelli connessi all’oggetto dell’appalto o della concessione, privilegiano, come richiesto in primo luogo dall’art. 11 del Codice, il contratto stipulato della associazioni comparativamente più rappresentative e, in concreto, indicano il contratto collettivo a cui ha fatto riferimento il Ministero del lavoro per la redazione delle tabelle di determinazione del costo medio del lavoro a stregua dell’art. 41, comma 13.

La selezione operata dal Ministero del lavoro per la determinazione del costo medio del lavoro, che il Ministero è tenuto ad effettuare considerando “.. i valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale fra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori comparativamente più rappresentative”, viene così ad assumere una duplice funzione: serve, come appena detto, a definire le tabelle relative al costo del lavoro ma serve anche ad individuare il contratto collettivo da indicare nei bandi di gara o ai fini delle concessioni.

Le tabelle ministeriali potrebbero non esserci.

In casi del genere, l’Allegato I.01 stabilisce che la stazioni appaltanti e gli enti concedenti si rivolgano al Ministero del lavoro chiedendogli “… di indicare, sulla base delle informazioni disponibili, il contratto collettivo stipulato tra le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale applicabile alle prestazioni oggetto dell’appalto o della concessione”.

Così, nella situazione di risalente carenza di affidabili indici di misurazione della effettiva rappresentatività e di inattuazione degli accordi interconfederali intervenuti in materia, il Ministero del lavoro è individuato  come l’organo abilitato a riconoscere le associazioni comparativamente più rappresentative.

a cura di WST Law & Tax