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Il trasferimento di ramo d’azienda nella giurisprudenza


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1. La normativa europea e l’interpretazione della Corte di Giustizia

Secondo la Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).

Venendo alla giurisprudenza formatasi in seno alla Corte di Giustizia, questa, da ultimo con la sentenza 6 marzo 2014, C-458/12, ha, da un lato, individuato il ramo d’azienda come il complesso organizzato, in maniera sufficientemente strutturata ed autonoma, di persone e di elementi che consente l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo e dall’altro, stante la presenza del verbo conservare nel predetto dettato normativo, ha ribadito l’assoluta necessità della preesistenza dell’autonomia rispetto al trasferimento.

2. La normativa interna

Ai sensi del comma 5 dell’art. 2112 c.c. si definisce ramo d’azienda l’“articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

Quest’ultimo periodo è stato inserito all’interno dell’art. 2112 c.c. a seguito delle modifiche apportate allo stesso dall’art. 32 del D.Lgs. n. 276 del 2003, al fine di realizzare un completo adeguamento della disciplina interna alla normativa comunitaria (direttiva 2001/23/CE), richiedente appunto la specifica previsione del requisito dell'autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento.

3. L’elaborazione giurisprudenziale in Italia

Il nuovo dettato normativo, secondo una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità, pur eliminando il requisito della preesistenza dell’autonomia dell’attività economica organizzata introdotto nel 2001 e dando, invece, maggiori poteri alle parti contraenti, non legittima, però, le stesse ad individuare il perimetro del ramo d’azienda da destinare al trasferimento a propria discrezione, sussistendo, quale condicio sine qua non, la necessità di una preesistente attività economica organizzata e autonoma (Cass., Sez. lav., 23 gennaio 2018, n. 1646).

Pertanto, elementi caratterizzanti il ramo d’azienda sono l’autonomia e l’organizzazione che devono preesistere rispetto al momento traslativo.

Per quanto riguarda il primo profilo, la porzione dell’attività economica ceduta deve essere dotata di un’autonomia tale da consentire l’esercizio dell’impresa, prescindendo dall’inserimento della stessa nell’intero complesso aziendale. Secondo la granitica posizione della giurisprudenza di legittimità, ciò presuppone che il ramo ceduto possegga una vera e propria autonomia funzionale, potendo, cioè, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi (Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2016, n. 10542; conformi: Cass., Sez. lav., 15 dicembre 2015, n. 25229; Cass., Sez. lav., 18 marzo 2015, n. 5425; Cass., Sez. lav., 15 aprile 2014, n. 8759; Cass., Sez. lav., 22 ottobre 2013, n. 22613).

Il ramo, in altre parole, deve essere in grado di svolgere lo stesso servizio eseguito prima della cessione, senza continuare a dipendere dal cedente e senza la necessità di integrazioni rilevanti da parte del cessionario (Cass., Sez. lav., 31 maggio 2016, n. 11248; conforme per quanto riguarda la giurisprudenza di merito: Corte di Appello di Roma, Sez. lav., 18 gennaio 2018).

Ciò suppone, quindi, la presenza di una realtà preesistente, poiché, per la Suprema Corte, la creazione ad hoc di una struttura produttiva in occasione del trasferimento porterebbe ad un’esclusione della fattispecie dall’alveo dell’art. 2112 c.c. (Cass., Sez. Lav., 31 luglio 2017, n. 19034; conforme: Cass., Sez. Lav., 3 ottobre 2012, n. 20422).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, la ratio della disposizione è quella di evitare che le parti imprenditoriali possano creare false strutture produttive soltanto per disfarsi di un determinato gruppo di lavoratori (Cass., Sez. Lav., 30 gennaio 2018, n. 2280).

La finalità del principio è, ad opinione della Corte, proprio quella di tutelare i prestatori in situazioni di trasferimento e mira ad escludere che forme di espulsione di frazioni dell’azienda, create ad hoc, possano comportare in via automatica un illegittimo trasferimento dei relativi rapporti di lavoro in capo al cessionario, senza il preventivo consenso dei dipendenti coinvolti (ex ultimis: Cass., Sez. lav., 21 settembre 2017, n. 22005; conformi: Cass., Sez. lav., 18 gennaio 2017, n. 1316; Cass., Sez. lav., 17 luglio 2008, n. 19740).

Punto unificante delle diverse decisioni di legittimità, è, pertanto, il riconoscimento della funzione garantistica del disposto dell'art. 2112 c.c., che giustifica una interpretazione estensiva della norma, in linea con quanto emerge dalle direttive comunitarie (Cass., Sez. lav., 24 marzo 2017, n. 7686).

Venendo all’analisi del secondo elemento caratterizzante il ramo d’azienda, ossia l’organizzazione, si rileva che la stessa si concretizzi nell’esistenza di una serie di legami imprescindibili tra le attività dei lavoratori di quella parte d’azienda ceduta, in modo tale che, solo tramite un’interazione reciproca delle rispettive funzioni, è possibile la produzione di una serie beni e servizi specificatamente individuabili.

Questo principio non impedisce la configurazione come ramo autonomo di una porzione di azienda composta in prevalenza da lavoratori e in misura solo limitata da beni materiali, a condizione, però, che questo gruppo di dipendenti possieda un know how comune (inteso come bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche) tale da consentire la fornitura completa di un servizio.

Secondo la Cassazione è legittima, quindi, anche la cessione di un ramo c.d. "dematerializzato" o "leggero" dell'impresa, nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni materiali, a patto che lo stesso sia funzionale alla realizzazione di un risultato produttivo definito e predeterminato (ex ultimis: Cass., Sez. lav., 24 gennaio 2018, n. 1769; conformi: Cass., Sez. lav., 26 agosto 2016, n. 17366; Cass., Sez. lav., 25 settembre 2013, n. 21917).

La verifica della possibilità di identificare l’entità economica coinvolta alla stregua di un ramo d’azienda, secondo la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, deve basarsi, quindi, sulla valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell'eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali, nell'avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, nell'eventuale trasferimento della clientela, nonché nel grado di analogia tra le attività esercitate prima e dopo la cessione, che non sempre devono necessariamente tutti concorrere (Cass., Sez. lav., 24 marzo 2017, n. 7686).

Dal punto di vista processuale, infine, occorre rilevare che, ad opinione della Corte, incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività: grava, cioè, sulla società cedente l'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti concretanti un trasferimento di ramo d'azienda (Cass., Sez. lav., 8 marzo 2016, n. 4500; conforme: Cass., Sez. lav., 10 gennaio 2004, n. 206).

A cura di Fieldfisher