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Cassazione: in caso di trasferimento di ramo d’azienda illegittimo, i lavoratori non possono richiedere al cedente le retribuzioni già corrispostegli dal cessionario


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Con l’ordinanza n. 14136 del 01.06.2018, la Cassazione afferma che non scatta il diritto a pretendere anche dal cedente il versamento delle medesime retribuzioni mensili nel caso in cui il datore, in seguito ad un trasferimento di ramo d'azienda ritenuto illegittimo, non ottemperi all'ordine giudiziale di ripristinare il rapporto di lavoro con i dipendenti coinvolti nella cessione, ma questi abbiano, nel frattempo, continuato ad essere retribuiti dal cessionario (sull’argomento si veda anche: Il trasferimento di ramo d’azienda nella giurisprudenza).

Il fatto affrontato

La società propone opposizione ad un decreto ingiuntivo notificatole da un prestatore che, in conseguenza dell'ordine giudiziale rimasto inadempiuto di ricostituire il rapporto di lavoro a seguito di illegittima cessione di ramo d'azienda, rivendicava le retribuzioni maturate nei confronti del datore cedente.
A base della suddetta opposizione l’azienda cedente sostiene che il dipendente, per il periodo in questione, fosse già stato retribuito dalla cessionaria.
Sia il Tribunale che la Corte d'Appello, però, respingono tale domanda, osservando che le retribuzioni mensili pagate dalla cessionaria non potevano essere portate in compensazione dalla cedente invocando il principio dell'aliunde perceptum, in quanto il lavoratore era titolare di un autonomo diritto al risarcimento del danno per inottemperanza all'ordine giudiziale.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando la statuizione della Corte d’Appello, ribadisce, preliminarmente, il principio (da ultimo espresso dalle SS.UU. 2990/2018, sul quale si veda: Cassazione: interposizione fittizia e obbligo del datore di lavoro, già committente, di retribuire il lavoratore) secondo cui le spettanze dovute dal datore di lavoro cedente non hanno natura risarcitoria, bensì retributiva.

Per i Giudici di legittimità ne consegue che, essendo una ed una sola la prestazione lavorativa che il lavoratore svolge nel ramo illegittimamente ceduto, la corresponsione della relativa retribuzione da parte del cessionario costituisce un pagamento consapevolmente effettuato da un soggetto che non è il vero creditore della prestazione e, dunque, un adempimento del terzo.
Ovvia conseguenza di ciò è la liberazione del vero obbligato, in applicazione del principio generale previsto dall'art. 1180, comma 1, c.c.

Pertanto, secondo la sentenza, il lavoratore non può ottenere dal cedente la medesima retribuzione già corrispostagli dal cessionario, potendo, invece, chiedere solo le differenze rispetto a quanto avrebbe percepito alle dipendenze del primo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla società, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

A cura di Fieldfisher