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Cassazione: interposizione fittizia e obbligo del datore di lavoro, già committente, di retribuire il lavoratore


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Con la sentenza n. 2990 del 07.02.2018, la Cassazione, a Sezioni Unite, afferma che, qualora venga accertata l’illegittimità di un appalto e, conseguentemente, dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del suddetto rapporto da parte del committente determina l’obbligo di quest’ultimo a corrispondere ugualmente le retribuzioni a decorrere dalla data di messa in mora, nonostante manchi la prestazione del lavoratore.

Il fatto affrontato

Il Tribunale, accogliendo il ricorso dei lavoratori di una società appaltatrice, dichiara l’interposizione fittizia di manodopera e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i predetti prestatori e l’impresa committente, alla quale gli stessi offrono la propria prestazione. Nonostante ciò, l’azienda non provvede a ripristinare il rapporto di lavoro con i medesimi, tanto da indurli a depositare dei ricorsi per decreto ingiuntivo, al fine di richiedere alla società le retribuzioni loro spettanti dalla data di messa in mora.

La sentenza

Le Sezioni Unite vengono investite di una questione di particolare rilevanza circa la natura retributiva o risarcitoria (con conseguente detraibilità del c.d. aliunde perceptum) delle somme spettanti al lavoratore, che, dopo la declaratoria giudiziale sull’esistenza di un’interposizione fittizia di manodopera, pur mettendo a disposizione la propria prestazione, non viene riammesso in servizio.

I Giudici di legittimità, nel risolvere il predetto conflitto giurisprudenziale, sostengono che lo stesso non può trovare una corretta soluzione con l’applicazione dei principi affermati con riferimento ad altre fattispecie (quali i licenziamenti illegittimi o le cessioni di ramo d’azienda nulle), dovendo, pertanto, seguirsi il diritto comune delle obbligazioni.

Prendendo spunto dalla pronuncia n. 303/2011 della Corte Costituzionale, le Sezioni Unite arrivano ad affermare che, una volta intervenuta la declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera, a fronte della messa in mora dell’azienda committente e della impossibilità della prestazione per fatto imputabile unicamente alla società, grava sulla stessa un obbligo di tipo retributivo.

Infatti, dal rapporto di lavoro riconosciuto dalla pronuncia giudiziale discendono gli ordinari obblighi in capo ad entrambe le parti ed, in particolare, con riguardo al datore, quello di pagare la retribuzione: ciò anche in caso di mora credendi e, quindi, di mancanza della prestazione lavorativa per rifiuto di riceverla.

In quest’ultimo caso, pertanto, è pacifico il superamento della regola sinallagmatica della corrispettività, posto che la stessa appare limitativa ed inidonea a fornire al lavoratore una tutela effettiva, dovendo il prestatore subire, altrimenti, le ulteriori conseguenze sfavorevoli derivanti dalla condotta omissiva del datore rispetto all’esecuzione dell’ordine giudiziale.

Unico limite posto al predetto diritto del dipendente, non riammesso in servizio, a vedersi riconosciute le retribuzioni da parte dell’azienda committente è rappresentato dal fatto di aver già ricevuto quanto gli spetta dalla società interposta.

A cura di Fieldfisher