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Cassazione: quando un licenziamento può dirsi ingiurioso


datore di lavoro licenzia il dipendente
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Con la sentenza n. 5760 del 27.02.2019, la Cassazione afferma che un licenziamento può dirsi ingiurioso o vessatorio e può, dunque, generare un diritto al risarcimento del danno in capo al lavoratore coinvolto, soltanto in presenza di particolari forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, dipendente di una farmacia, impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatole in quanto ritenuta responsabile di un ammanco di cassa di quasi 30.000 euro.
A fondamento della propria domanda, la medesima eccepisce, da un lato, la genericità della contestazione e, dall’altro, l’ingiuriosità del recesso, dal momento che all'atto della consegna della lettera di contestazione - con cui si disponeva, altresì, la sospensione cautelare dal servizio - era presente anche l'avvocato di fiducia del datore.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore, che dà luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di particolari forme o modalità offensive o di eventuali forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che il danno risarcibile non è in re ipsa, essendo, invece, indispensabile che il lavoratore coinvolto provi rigorosamente le predette circostanze ed il lamentato pregiudizio.

Per la sentenza – contrariamente a quanto affermato dalla lavoratrice nel caso di specie – non integra il carattere ingiurioso del recesso né la presenza dell'avvocato di fiducia del datore al momento della consegna della lettera di contestazione (la fattispecie è, infatti, frequente nella prassi alla luce dell'eventuale rifiuto di sottoscrivere la predetta consegna ed altre problematiche similari) né il mero allontanamento dal luogo di lavoro (quale conseguenza della sospensione cautelare), anche in una struttura di ristrette dimensioni.

Su tali presupposti, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dalla lavoratrice, ritenendo la condotta datoriale sussumibile nell'ambito degli usuali canoni comportamentali tipici della fase di estinzione del rapporto di lavoro e come tale, quindi, non ingiuriosa.

A cura di Fieldfisher