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Cassazione: licenziamento per g.m.o. e successiva assunzione di altro personale: quali sono le conseguenze?


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Con la sentenza n. 181 del 08.01.2019, la Cassazione afferma che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la successiva assunzione di soggetti per posizioni compatibili con quelle dei lavoratori espulsi, comporta l’applicazione della sola tutela indennitaria, non essendo sufficiente la predetta circostanza a provare la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del recesso (su questo argomento si veda: L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella giurisprudenza).

Il fatto affrontato

I lavoratori, dipendenti di un’agenzia di somministrazione, impugnano giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli stante l’impossibilità di trovare missioni per il loro livello professionale presso aziende utilizzatrici.
A fondamento della suddetta domanda, i medesimi deducono l’assunzione a tempo determinato, da parte della società datrice, a breve distanza dal recesso, di soggetti aventi profili professionali simili e posizioni compatibili con le loro.

La sentenza

La Cassazione afferma che, in tema di recesso per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito della "manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento", previsto dall'art. 18, comma 7, della l. 300/1970, come novellata dalla I. 92/2012, concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (c.d. repechage).
Ne consegue che, fermo l'onere della prova che grava sul datore ai sensi dell'art. 5 della I. 604/1966, la "manifesta insussistenza" va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti, che consenta di apprezzare la chiara pretestuosità del licenziamento.
In tali casi, la tutela applicabile sarà quella reintegratoria prevista dal comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

In tutte le altre ipotesi, in cui venga ravvisata un’insufficienza probatoria concernente soltanto uno dei due predetti presupposti legittimanti il recesso, secondo la sentenza non è ravvisabile la "manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento".
Per i Giudici di legittimità, la conseguenza di tale assunto è che in dette ipotesi l’unica tutela applicabile per i lavoratori illegittimamente licenziati è quella indennitaria, prevista dal quinto comma del citato art. 18, nella versione successiva alla riforma Fornero.

Su tali presupposti, la Suprema Corte - visto che nel caso di specie era stata ravvisata soltanto una violazione dell’obbligo di repechage e non anche l’insussistenza della ragione organizzativa posta alla base del recesso - conferma la bontà della pronuncia di merito che aveva riconosciuto ai lavoratori un’indennità pari a 24 mensilità dell’indennità di disponibilità.

A cura di Fieldfisher