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Cassazione: licenziamento nullo se è l’atto finale del mobbing


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Con l’ordinanza n. 17702 del 17.05.2022, la Cassazione afferma che deve essere considerato nullo il licenziamento che rappresenta l’ultimo atto di una serie di condotte mobbizzanti con il quale il lavoratore è stato sottoposto a vessazioni e mortificazioni.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, dichiarando il recesso ritorsivo e, in quanto tale, nullo, poiché correlato con la condotta mobbizzante tenuta ai danni del ricorrente.

L’ordinanza

La Cassazione rileva che il datore deve astenersi dal compiere tutte quelle condotte che, per caratteristiche e gravità, possano ledere l’integrità psicofisica del lavoratore.

Per la sentenza, laddove i comportamenti mobbizzanti sfocino in un licenziamento, lo stesso deve essere ritenuto nullo in quanto ritorsivo.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, in tal caso, l'unico motivo fondante il licenziamento sarebbe rinvenibile nella volontà societaria di liberarsi e di colpire il lavoratore inviso come ultimo epilogo delle condotte vessatorie a suo carico tenute.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando la nullità del recesso.

A cura di Fieldfisher