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Cassazione: licenziamento illegittimo in caso di tardività della contestazione e non proporzionalità della sanzione disciplinare


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Con la sentenza n. 7208 del 22.03.2018, la Cassazione afferma l’illegittimità di un licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore sulla base di una contestazione non rispettosa del principio di tempestività e non conforme al canone di proporzionalità sancito dall’art. 2106 c.c.

Il fatto affrontato

Il lavoratore viene licenziato per giusta causa posto che, a seguito di riscontri effettuati dalla società, emergeva che il medesimo aveva utilizzato la vettura aziendale, in assenza della prevista autorizzazione, per 4 giorni nei quali era risultato assente per malattia, festività, ferie e permessi.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte di Appello, ribadisce il principio che la non immediatezza della contestazione induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento, ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.
Tuttavia, continua la sentenza, deve ritenersi che sia compatibile un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richiedano uno spazio temporale maggiore, anche alla luce della complessità della struttura organizzativa aziendale.

Nella fattispecie, la Corte ha confermato la correttezza delle conclusioni dei Giudici del merito che, sulla base di una motivazione corretta ed esente da vizi di carattere logico giuridico, avevano ritenuto tardiva la contestazione mossa al dipendente in quanto effettuata in un lasso temprale troppo lungo rispetto al verificarsi dei fatti stessi. In caso di contestazione tempestiva, sottolinea la sentenza, il lavoratore avrebbe potuto approntare una miglior difesa.

I Giudici di legittimità si sono pronunciati, altresì, sulla proporzionalità della sanzione inflitta, ribadendo il principi che la valutazione dell’inadempimento deve effettuarsi in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c., di tal che l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solo da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero fatti che non consentono la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che le contestazioni mosse al lavoratore riguardassero inadempimenti agli obblighi contrattuali di natura non grave sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo e, come tali, inidonei a consentire il recesso sia per giusta causa che per giustificato motivo soggettivo.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla società, confermando l’illegittimità del licenziamento irrogato al dipendente.

A cura di Fieldfisher