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Cassazione: licenziamento disciplinare: rilievi sulla proporzionalità del licenziamento e prevalenza delle nozioni legali di giusta causa e giustificato motivo


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La Cassazione, Sezione lavoro, con l'ordinanza n. 6606 del 16.03.2018 ha chiarito che devono qualificarsi come mere difese i rilievi sulla proporzionalità del licenziamento disciplinare, che pertanto devono ritenersi liberamente deducibili.
Il Giudice, inoltre, non è vincolato dalla tipizzazione delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo contenuta nel contratto collettivo, dal quale può discostarsi per effetto del vaglio di compatibilità con il principio di proporzionalità e con il relativo modello legale.

Il fatto affrontato

Un capotreno, licenziato per giusta causa per taluni inadempimenti, ricorreva in Cassazione avverso la sentenza di appello che aveva confermato la legittimità del provvedimento espulsivo del datore di lavoro, lamentando (tra l’altro) la sproporzionalità del licenziamento.
Il datore di lavoro contestava tale motivo di impugnazione sia in quanto tardivo, sia perché la fattispecie sarebbe stata tipizzata dalla contrattazione collettiva tra le ipotesi di giusta causa di recesso.

L’ordinanza

La Corte, confermando il principio già espresso in precedenti pronunce, ha chiarito che i rilievi sulla sproporzione tra infrazione e sanzione disciplinare espulsiva sono da qualificare come mere difese, liberamente deducibili in quanto non incidenti nel senso di una diversa qualificazione della causa petendi e come tali non soggetti a limiti temporali.
Grava, infatti, sul datore di lavoro l’onere di provare gli elementi costitutivi della fattispecie, in quanto fondamento in concreto dell’esercitato potere disciplinare.
Pertanto, le allegazioni del lavoratore di circostanze atte a dimostrare la carenza del potere disciplinare possono essere sviluppate anche solo nel giudizio di appello al fine di sollecitare il giudice alla verifica delle condizioni di legittimità del provvedimento disciplinare.

Quanto poi alla tipizzazione delle ipotesi di giusta causa di recesso, la Corte, confermando il carattere esemplificativo delle stesse, ha osservato che la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo.
Pertanto, è sempre consentito il vaglio di compatibilità con l’inderogabile principio di proporzionalità sancito dall’art. 2106 c.c. e con il modello legale di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo di cui all’art. 2119 c.c. ed agli artt. 1 e 3 della legge n. 604/1966.

Il catalogo contrattuale, dunque, può essere esteso oltre i meri esempi del CCNL, se vi sono ulteriori ipotesi rispondenti al modello legale, o ridotto, qualora le esemplificazioni non siano conformi a detto modello, rendendo la relativa clausola contrattuale nulla per violazione di norma imperativa di legge.
Invece, condotte pur astrattamente suscettibili di integrare la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo di licenziamento, non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo sanzioni conservative, poiché le disposizioni legislative definitorie delle due nozioni sono pur sempre derogabili in melius.

A cura di Fieldfisher