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Cassazione: illegittimo il licenziamento disciplinare del dirigente basato su fatti non contestati


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Con la sentenza n. 7426 del 26.03.2018, la Cassazione afferma che, in tema di licenziamenti disciplinari, le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, commi 2 e 3, della legge 300/1970, debbano trovare applicazione anche laddove il destinatario della sanzione espulsiva sia un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa, essendo tali norme espressione di un principio di generale garanzia fondamentale.

Il fatto affrontato

La società irroga un licenziamento per giusta causa al dirigente, a causa della violazione dei doveri di buona fede e correttezza connessi al suo rapporto di lavoro, concretatasi nella partecipazione del medesimo alla gestione fallimentare di un’altra società, da lui introdotta quale cliente della datrice con rapporto privilegiato.
Nel giudizio di impugnativa del licenziamento, dall’istruttoria emerge il coinvolgimento dello stesso dirigente anche in una vicenda penale di evasione fiscale volta a raggirare il meccanismo di funzionamento dell’IVA.
Quest’ultima circostanza induce la Corte d’Appello a confermare la sussistenza della giusta causa posta alla base del recesso datoriale.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte di Appello, ribadisce il principio secondo cui non sussiste una piena coincidenza tra le ragioni di licenziamento di un dirigente e di un licenziamento disciplinare irrogato ad un prestatore rivestente un’altra qualifica, per la peculiare posizione del dirigente all’interno della società ed il relativo vincolo fiduciario che lo lega alla parte datoriale.

Per i Giudici di legittimità ciò non significa, però, che le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, commi 2 e 3, della legge 300/1970, non si applichino anche ai recessi comminati ai dirigenti, essendo tali norme espressione di un principio di generale garanzia fondamentale.

Le stesse, continua la sentenza, trovano, pertanto, applicazione anche nell'ipotesi del licenziamento di un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa, laddove il datore gli addebiti un comportamento negligente o colpevole tale da pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti.

La violazione dei predetti precetti, precludendo le possibilità di valutare le condotte causative del recesso, comporta, quindi, la declaratoria di illegittimità dello stesso.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, ha accolto il ricorso proposto dal dirigente, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

A cura di Fieldfisher