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Cassazione: condizioni di legittimità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità


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Con la sentenza n. 4896 del 23.02.2021, la Cassazione afferma che il datore può licenziare il lavoratore divenuto inabile se la sua adibizione a mansioni diverse implica accomodamenti non ragionevoli all’organizzazione aziendale.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per sopravvenuta inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni di operaia pulitrice.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, dichiarando legittimo il recesso, anche a fronte dell'assenza di posti vacanti su mansioni compatibili con le condizioni di salute della dipendente.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, rileva – preliminarmente – che il licenziamento del dipendente divenuto inabile alla propria mansione rappresenta una extrema ratio, cui ricorrere laddove il lavoratore non possa essere adibito a mansioni diverse o inferiori.

Secondo i Giudici di legittimità, il datore – al fine di rinvenire una collocazione al lavoratore inabile – è tenuto ad apportare le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati, che non impongano un carico sproporzionato ed eccessivo.

Per la sentenza - che richiama un’interpretazione fornita anche dalla giurisprudenza comunitaria - il datore è tenuto ad apportare dette modifiche seguendo il criterio di ragionevolezza che implica un duplice limite, rappresentato, da un lato, dal mantenimento degli equilibri finanziari dell'impresa e, dall’altro lato, dall'inviolabilità in pejus delle posizioni lavorative degli altri dipendenti (art. 2103 c.c.).

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della lavoratrice e dichiara legittimo il recesso, dal momento che le mansioni cui la stessa avrebbe potuto essere adibita, senza particolari stravolgimenti dell’azienda, erano di carattere occasionale e residuale tali da non consentire una assegnazione in maniera esclusiva.

A cura di Fieldfisher