Con l’ordinanza n. 21627 del 20.07.2023, la Cassazione afferma che il lavoratore che assiste un familiare disabile ha diritto ad essere trasferito nella sede più vicina al domicilio del congiunto anche nell’ipotesi in cui la struttura di provenienza abbia una scopertura minima, per cui lo spostamento di una sola unità non provochi danno all’azienda.
Il fatto affrontato
La lavoratrice propone domanda cautelare di trasferimento, ai sensi dell’art. 33, comma 5, L. 104/1992, quale congiunta convivente con il padre, in condizioni di disabilità grave.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, riconoscendo alla medesima anche il risarcimento del danno per inattività forzata commisurato, in via equitativa, in un quarto della retribuzione fissa che le sarebbe spettata alla lavoratrice nel periodo compreso tra la data riconosciuta di decorrenza del trasferimento e quella della sua effettiva esecuzione.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che il diritto del lavoratore che assiste un familiare disabile ad essere trasferito nella sede più vicina al domicilio del congiunto non è assoluto, ma va garantito ove possibile, bilanciandolo con le esigenze del datore in conflitto.
Per la sentenza, tuttavia, il trasferimento è possibile anche se la sede di provenienza risulta scoperta quando, guardando all’entità degli organici di entrambe le strutture, lo spostamento di un solo dipendente non danneggia l’organizzazione dell’impresa.
Secondo i Giudici di legittimità, una tale interpretazione è conforme sia alla ratio sottesa alla L. 104/1992, che ha una funzione solidaristica, sia all’esigenza di tutela e garanzia dei diritti dei disabili contenuta nella Costituzione e nella Convenzione Onu ratificata dall’Italia con la L. 18/2009.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società e conferma il diritto della dipendente ad essere trasferita.
A cura di Fieldfisher