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Cassazione: quando può dirsi integrata la fattispecie dell’associazione in partecipazione


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Con la sentenza n. 26273 del 18.11.2020, la Cassazione afferma che l'associato in partecipazione, che presta il proprio lavoro nell'impresa dell'associante, soggiace sempre al rischio economico in caso di risultati negativi aziendali, che – in caso di esclusione della partecipazione alle perdite – si traduce nell'assenza di compensi.

Il fatto affrontato

La società propone opposizione giudiziale avverso le cartelle esattoriali notificate dall’INPS per il recupero della contribuzione previdenziale relativa alle posizioni di tre lavoratrici, formalmente contrattualizzate in regime di associazione in partecipazione, ma ritenute - all’esito dell'accertamento ispettivo - lavoratrici subordinate.
Il Tribunale accoglie la predetta domanda, sul presupposto che le tre lavoratrici - impiegate quali commesse addette alla vendita presso un negozio gestito in regime di franchising dall'associante - godevano di autonomia operativa, percepivano un compenso variabile in base alla pattuita percentuale sugli incassi, ricevevano un rendiconto periodico ed avevano la facoltà di prendere visione della documentazione contabile presso il commercialista della società.
Detta pronuncia viene ribaltata dalla Corte d’Appello che, ritenendo non sufficienti gli elementi valorizzati in primo grado, deduce che le tre lavoratrici mantenevano un ambito di autonomia del tutto marginale, di carattere meramente esecutivo, al pari di quello proprio di una commessa in regime di subordinazione.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma che, ai sensi dell’art. 2549 c.c., viene integrata la fattispecie del contratto di associazione in partecipazione, ogniqualvolta l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Il sinallagma – continua la sentenza – è costituito dalla partecipazione agli utili (e quindi al rischio d'impresa, di norma esteso anche alla partecipazione alle perdite), a fronte di un determinato apporto dell'associato, che può consistere anche nella prestazione lavorativa del medesimo.

Secondo i Giudici di legittimità, la divisione delle perdite non viene considerata dalla legge quale elemento imprescindibile per la configurazione della fattispecie, avendo le parti la possibilità di derogare a ciò, limitando la divisione ai soli utili.
Tuttavia, detta circostanza non fa venir meno il carattere aleatorio del contratto, dal momento che, in caso di mancanza di utili, l'apporto lavorativo dell'associato è destinato a rimanere senza compenso.

Per la Cassazione, laddove, come nel caso di specie, quest’ultimo rischio venga neutralizzato - con il riconoscimento di un compenso mensile garantito pari alla retribuzione prevista dal contratto collettivo per il profilo professionale corrispondente alle mansioni svolte - non può ritenersi integrata la fattispecie contrattuale dell’associazione in partecipazione.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando la debenza della somma portata dalle cartelle esattoriali opposte.

A cura di Fieldfisher