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Cassazione: quando il contratto di associazione in partecipazione cela la subordinazione


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Con l’ordinanza n. 3762 del 07.02.2022, la Cassazione afferma che l’associato in partecipazione deve essere considerato un lavoratore subordinato se, da un lato, non ha rischio di impresa e, dall’altro, non ha alcun potere decisionale in ordine all’attività svolta.

Il fatto affrontato

La società propone opposizione giudiziale avverso la cartella di pagamento con cui l’INPS aveva richiesto il versamento della contribuzione concernente i rapporti lavorativi di tre addette alle vendite, considerati dall'INPS di natura subordinata nonostante la formale qualificazione di contratti di associazione in partecipazione.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che questi ultimi contratti erano stati stipulati in epoca immediatamente successiva ad un precedente periodo di espletamento delle identiche prestazioni formalizzate come rapporto di lavoro subordinato a termine con qualifica di apprendiste.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che la distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato risiede nelle modalità di attuazione del concreto rapporto.

Per la sentenza, infatti, il primo tipo di contratto implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa, mentre il secondo è caratterizzato da un effettivo vincolo di subordinazione - più ampio del generico potere dell'associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato - con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell'organo che assume le scelte di fondo dell'organizzazione dell'azienda.

Secondo i Giudici di legittimità, dunque, laddove i lavoratori espletino l’attività senza alcun rischio d'impresa e non siano dotati di poteri decisionali rispetto all'andamento dell'azienda, il relativo rapporto non può che essere ricondotto nell’alveo della subordinazione.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando la debenza della contribuzione richiesta.

A cura di Fieldfisher