Con la sentenza emessa, il 18.11.2020, nella causa C-643/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea afferma che la direttiva riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, non impedisce alla contrattazione collettiva nazionale di riservare alle lavoratrici, che si prendono cura in prima persona del proprio figlio, il diritto ad un congedo di maternità supplementare, a condizione che lo stesso sia diretto a tutelare le dipendenti con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla loro condizione di maternità.
Il fatto affrontato
Un sindacato francese ricorre giudizialmente contro una cassa previdenziale, a seguito del rifiuto da parte di quest’ultima di concedere ad un dipendente di sesso maschile, padre di un bambino, il congedo – previsto dal contratto collettivo di riferimento – per le lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio una volta terminato il periodo di maternità obbligatoria.
Il Tribunale del lavoro di Metz, investito della questione, mediante un rinvio pregiudiziale chiede alla CGUE se il diritto dell’Unione Europea escluda la possibilità di riservare alle dipendenti di sesso femminile, che si prendono cura in prima persona dei propri figli, un congedo di maternità supplementare.
La sentenza
La Corte di Giustizia afferma, preliminarmente, che lavoratrice gestante o in periodo di allattamento si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che non solo giustifica il diritto al congedo di maternità, ma che impedisce di equiparare la condizione della stessa a quella di un lavoratore di sesso maschile o a quella di una lavoratrice assente per malattia.
Secondo i Giudici, ne consegue che un congedo di maternità supplementare ben può essere previsto per proteggere sia la condizione biologica della donna dopo la gravidanza che le particolari relazioni tra la madre ed il suo bambino, in modo da evitare che detto rapporto sia turbato dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa.
Per la sentenza, tuttavia, dette condizioni non sono sufficienti per escludere, a priori, il padre lavoratore dal godimento di un congedo successivo al periodo di maternità obbligatoria.
A detta della CGUE, dunque, la limitazione del godimento di un siffatto congedo alle dipendenti di sesso femminile è possibile solo a condizione che:
- le condizioni di concessione siano direttamente connesse alla protezione della condizione biologica e fisiologica della donna e delle particolari relazioni tra la madre ed il proprio figlio durante il periodo successivo al parto;
- la durata e le modalità di fruizione siano adattate di conseguenza al fine di garantire i due predetti aspetti;
- il regime giuridico garantisca una protezione contro il licenziamento, il mantenimento di una retribuzione adeguata delle lavoratrici nonché il diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente al rientro dal periodo di assenza.
A cura di Fieldfisher