Con l’ordinanza n. 26836 del 16.10.2024, la Cassazione afferma che il datore, una volta contestati atti idonei ad integrare il recesso, può allegare, nel corso del procedimento disciplinare, circostanze confermative o ulteriori prove, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre.
Il fatto affrontato
Il dipendente impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per non avere contestato, alla ditta con cui la società datrice di lavoro aveva sottoscritto un contratto d’appalto, l’esecuzione di opere non autorizzate.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo – tra le altre cose – che la modifica apportata nella lettera di licenziamento rispetto alla contestazione disciplinare non era in alcun modo lesiva del diritto di difesa del ricorrente.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che la precisione e la specificità della contestazione degli addebiti rispondono all'esigenza di consentire concretamente all'incolpato di approntare la propria difesa.
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, si integra la violazione del principio di immodificabilità della contestazione qualora le modificazioni dei fatti addebitati si configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella contestata.
Diversamente, continua la sentenza, detta violazione non è ravvisabile laddove le modifiche riguardino circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie e non ostino, quindi, alla difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati a seguito della contestazione.
Rinvenendo quest’ultima fattispecie nel caso in esame, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore e conferma la legittimità del recesso al medesimo irrogato.
A cura di WST