Con la sentenza n. 6664 del 01.03.2022, la Cassazione afferma che la rinunzia del lavoratore a diritti non ancora entrati a far parte del suo patrimonio giuridico - ancorché intervenuta in una delle sedi protette di cui all’art 2113, ultimo comma, c.c. - è nulla per contrasto con norma imperativa di legge.
Il fatto affrontato
Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di sentir dichiarata la nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro già oggetto di un precedente accordo conciliativo siglato con la società datrice.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ritenendo nulle le rinunce effettuate dal dipendente nel citato accordo conciliativo, in quanto aventi ad oggetto diritti non ancora sorti (quali, la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato al superamento del limite triennale).
La sentenza
La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che l'art. 2113 c.c. consente, in sede protetta, le rinunce ma non gli atti regolativi in contrasto con norme imperative.
Per la sentenza, infatti, in sede conciliativa si può rinunciare a diritti già maturati ma non si possono concordare regolazioni dei rapporti futuri contrarie a leggi che hanno il rango di norme imperative.
Secondo i Giudici di legittimità, invero, la sede protetta non può essere il luogo in cui si consumano le violazioni, cioè si concordano regolazioni contra legem con rinuncia a farle valere, ma si può unicamente rinunciare ai diritti già maturati in conseguenza di violazioni realizzate prima e fuori da quella sede.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, dal momento che con la conciliazione si era impedito il sorgere del diritto alla conversione del rapporto di lavoro a termine – stante il superamento del limite massimo previsto per legge di 36 mesi – così realizzando una disciplina del rapporto in contrasto con una norma imperativa.
A cura di Fieldfisher