Con la sentenza n. 254 del 26.11.2020, la Corte Costituzionale afferma che risultano inammissibili le questioni di legittimità sollevate in ordine alle conseguenze sanzionatorie previste, dal Jobs Act, in caso di declaratoria di illegittimità dei licenziamenti collettivi per violazione dei criteri di scelta.
Il caso affrontato
La lavoratrice, assunta dopo il marzo del 2015, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole nell’ambito di una procedura collettiva, deducendo la violazione dei criteri di scelta da parte della società datrice.
La Corte d’Appello di Napoli - investita della questione - solleva un problema di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, L. 183/2014 e degli artt. 1 e 10 del D.Lgs. 23/2015, in quanto - nell’ipotesi della stessa violazione dei criteri di scelta avvenuta contestualmente in una medesima procedura di licenziamento collettivo - introdurrebbero un regime sanzionatorio differenziato a seconda della data di assunzione dei lavoratori coinvolti.
L’organo rimettente sostiene, altresì, che le norme censurate siano in aperto contrasto con il diritto comunitario, tanto da promuovere parallelamente un rinvio pregiudiziale alla CGUE per violazione dei precetti contenuti nella Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
La sentenza
La Consulta rileva, preliminarmente, come la questione sollevata dalla Corte d’Appello rimettente non rientri nell’ambito di applicazione del diritto comunitario.
Invero, la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, così come le modalità adottate dal datore nel dar seguito ai recessi, sono materie che non si collegano agli obblighi di consultazione previsti, per le procedure collettive, dalla Direttiva 98/59 CE e che restano, in quanto tali, affidate alla competenza degli Stati membri.
Venendo al merito della questione, i Giudici evidenziano che l’ordinanza di rimessione difetta di un elemento essenziale, avendo trascurato di descrivere la fattispecie concreta e di allegare elementi idonei a corroborare l’accoglimento dell’impugnazione in virtù di una violazione dei criteri di scelta, già esclusa dal tribunale in primo grado.
Per la sentenza, infatti, l’applicazione della disciplina sanzionatoria - tacciata di incostituzionalità - richiede forzatamente la preventiva individuazione dei vizi del licenziamento collettivo.
A fronte di tali lacune nella descrizione della fattispecie concreta, che impediscono di valutare la rilevanza delle questioni sollevate, la Corte Costituzionale dichiara l’inammissibilità delle stesse.
A cura di Fieldfisher