Con l’ordinanza n. 3420 del 03.02.2022, la Cassazione afferma che il datore di lavoro che ometta di denunciare mensilmente all'INPS i rapporti di lavoro o le retribuzioni erogate o provveda a una denuncia infedele, al fine di evitare la contestazione di evasione contributiva, è tenuto a dimostrare l'insussistenza di un intento fraudolento e la sua buona fede.
Il fatto affrontato
La società propone ricorso giudiziale al fine di ottenere l'accertamento della insussistenza delle pretese contributive avanzate dall'INPS, a seguito del verbale ispettivo, sulla base di omesse denunce di rapporti di lavoro all’Istituto previdenziale.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, sul presupposto che il valore probatorio dei verbali ispettivi e degli accertamenti condotti dagli ispettori sulla documentazione acquisita era stato ritenuto idoneo a provare i crediti.
L’ordinanza
La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva".
Per la sentenza, detta condotta non può integrare la meno grave fattispecie di "omissione contributiva", posto che la stessa riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, l'omessa o infedele denuncia configura occultamento dei rapporti o delle retribuzioni e fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di non versare i contributi o i premi dovuti.
Grava, quindi, sul datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede.
Su tali presupposti, la Suprema Corte – non ritenendo assolto detto onere nel caso di specie – rigetta il ricorso proposto dalla società.
A cura di Fieldfisher