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Cassazione: il giudizio di inabilità al lavoro espresso dalla struttura sanitaria non vincola né il giudice né il datore


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Con la sentenza n. 7065 del 21.03.2018, la Cassazione afferma che il giudizio di inabilità al lavoro espresso dalla struttura pubblica, se contrasta con la CTU disposta dal giudice, non legittima il licenziamento irrogato dal datore, dovendo lo stesso dimostrare di non poter adibire il dipendente ad altre mansioni compatibili con il suo stato di salute senza alterare l’organizzazione aziendale.

Il fatto affrontato

La lavoratrice dopo aver subito due infortuni sul lavoro, nel 1996 e nel 1998, al rientro veniva adibita a mansioni di pulizia dei fabbricati di servizio e dopo un periodo di aspettativa per motivi di salute veniva sospesa dal lavoro nel 2000 e da allora non veniva più retribuita, pur essendo guarita ed avendo offerto la propria prestazione al datore.
Nel marzo del 2001, su iniziativa del medesimo, veniva sottoposta ad una visita medica di idoneità alle mansioni, senza che successivamente venisse adottato alcun provvedimento nei suoi confronti.
Nel giugno 2001, perdurando il mancato pagamento delle retribuzioni, chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo al riguardo e, pochi giorni dopo la relativa notifica al datore, le veniva comunicato il licenziamento in tronco per "inidoneità fisica all'attività lavorativa propria del livello di appartenenza".
In seguito a CTU disposta nel giudizio di opposizione al detto decreto ingiuntivo veniva accertato che la prestatrice era idonea a svolgere le mansioni di pulizia dei locali che le erano state assegnate, tanto da indurre la stessa a presentare impugnativa giudiziale del licenziamento irrogatole.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, ribadisce i seguenti principi in tema di licenziamento per inabilità al lavoro:
• il giudizio della struttura sanitaria pubblica, di cui all'art. 5 della legge 300/1970, non ha valore vincolante né per il giudice - che può disporre una consulenza tecnica d'ufficio per accertare la sussistenza delle condizioni di inabilità - né per il datore di lavoro;
• conseguentemente, in caso di contrasto tra l'accertamento sanitario predetto e la consulenza disposta nel corso del processo, il giudice del merito è tenuto a porre a raffronto le diverse risultanze allo scopo di stabilire quale sia maggiormente attendibile e convincente, con un apprezzamento valutativo sottratto al sindacato di legittimità ove correttamente e logicamente motivato;
• inoltre, il giudizio della struttura sanitaria pubblica - anche in ipotesi di totale inabilità del lavoratore alle mansioni precedentemente svolte - come non impone il licenziamento così non integra un caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa tale da risolvere il rapporto, essendo pur sempre onere del datore dimostrare l'inesistenza di altre mansioni, anche inferiori, compatibili con lo stato di salute del prestatore e a lui attribuibili senza alterare l'organizzazione produttiva (sempre che il dipendente non abbia già manifestato, a monte, il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione).

Su tali presupposti, la Suprema Corte, ha accolto il ricorso proposto dalla lavoratrice, cassando la sentenza impugnata e riconoscendo, quindi, l’illegittimità della condotta datoriale.

A cura di Fieldfisher