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Cassazione: il datore può modificare la collocazione temporale della prestazione?


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Con l’ordinanza n. 31349 del 03.11.2021, la Cassazione afferma che il datore può modificare la collocazione temporale della prestazione, a condizione che rispetti i limiti legali e contrattuali di durata massima dell’orario di lavoro.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il provvedimento datoriale con cui era stata assegnata ad un diverso reparto con durata del turno 14-22.
A fondamento del ricorso, la medesima deduce di aver precedentemente ottenuto - con una sentenza passata in giudicato - l'accertamento del diritto ad osservare l'orario spezzato, in ragione delle patologie dalle quali era affetta.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che, al momento della variazione dell'orario di lavoro, non sussistevano le esigenze organizzative allegate dalla società.

L’ordinanza

La Cassazione - nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello - rileva che, in materia di orario di lavoro, il potere direttivo della parte datoriale può esercitarsi in ordine alla collocazione della prestazione nel tempo, sempre nel rispetto dei limiti legali di durata della prestazione stessa.

Per la sentenza, infatti, il profilo quantitativo dell'orario di lavoro inerisce all'oggetto del contratto e non può essere modificato unilateralmente dal datore, al quale è, invece, riconosciuto il potere distributivo.

Secondo i Giudici di legittimità, lo ius variandi datoriale può subire una significativa limitazione solo in relazione ai contratti part-time, ove la programmabilità del tempo libero assume carattere essenziale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla società, dichiarando legittimo il cambio dell’orario di lavoro della dipendente.

A cura di Fieldfisher