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Quando il licenziamento può dirsi illegittimo per riconducibilità della condotta ad ipotesi punite con sanzioni conservative?


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A seguito della riforma apportata dalla L. 92/2012, l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori prevede che, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento, la reintegra sia una tutela residuale ed eccezionale, rispetto alla regola generale del riconoscimento di un’indennità economica (sul punto si veda: Analisi delle tutele economiche previste in caso di licenziamenti individuali dichiarati illegittimi).

Invero, l’art. 18, comma 4, della L. 300/1970 - nella versione novellata dalla c.d. Riforma Fornero - prevede che venga riconosciuta al dipendente illegittimamente licenziato sia la reintegra nel proprio posto di lavoro che un’indennità con funzione risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto percepita, non superiore a 12 mensilità, soltanto in due tassative ipotesi: laddove il fatto contestato sia insussistente ovvero rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.

Quest’ultima ipotesi ha creato non poche problematiche attuative ed interpretative che sono state risolte dalla Suprema Corte con diversi arresti, mediante cui la giurisprudenza di legittimità ha assunto una posizione unanime e granitica.

In prima battuta, la Cassazione - in un procedimento di impugnativa del licenziamento di un medico che aveva aggredito verbalmente il titolare della casa di cura in cui prestava servizio, alla presenza di altri dipendenti nonché di utenti e loro familiari presenti negli uffici per il disbrigo di pratiche amministrative - ha dichiarato la legittimità del recesso, non potendo detta condotta essere ricompresa nell’ipotesi per cui l’art. 11 lett. g) del CCNL sanità privata - personale medico prevede una sanzione meramente conservativa nel caso in cui il dipendente “tenga un contegno scorretto o offensivo verso i degenti, il pubblico e gli altri dipendenti”.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “… laddove non risulti una clausola del contratto collettivo che colpisca lo specifico comportamento imputato al lavoratore con una sanzione conservativa, non si ha modo di applicare l’art. 18, comma 4, della L. 300/1970”.
In particolare non può essere utilizzata a tal fine “… una normativa contrattuale che fra le diverse infrazioni disciplinari inserisce la violazione di generici doveri di comportamento da parte del lavoratore”, posto che non si presta a fungere da elemento della comparazione fra fatto contestato quale presupposto causale del licenziamento comminato e fatti previsti dal contratto collettivo ai fini dell’applicazione di sanzioni conservative e non espulsive (Cass. civ., Sez. lavoro, 17-05-2018, n. 12102; sul punto si veda: Licenziamento disciplinare: se il contratto collettivo prevede una sanzione diversa?).

I Giudici di legittimità, inoltre, hanno escluso l’applicabilità dell’art. 18, comma 4, della L. 300/1970 anche nel caso del licenziamento di un lavoratore, reo di aver proferito epiteti ingiuriosi nei confronti di dipendenti di una società terza che gestiva il servizio di mensa all’interno della sua azienda.
La Cassazione, infatti, ha escluso che detta condotta potesse rientrare nell’ipotesi per cui l'art. 40, lett. K, del CCNL esercizi aereoportuali prevede la sanzione conservativa in caso di frasi offensive rivolte a colleghi o a terzi.
In particolare, la relativa pronuncia ha sostenuto che il comportamento addebitato al dipendente potesse, piuttosto, essere ricompreso nell’alveo della clausola di maggiore gravità, per cui il contratto collettivo prevede il licenziamento nel caso in cui la condotta "per natura, modalità e circostanze costituisca più grave mancanza ai sensi dei paragrafi successivi".
Nello specifico, la Cassazione ha sostenuto che: “In tema di licenziamento disciplinare, l'accesso alla tutela reale di cui all'art. 18, comma 4, st.lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, presuppone una valutazione di proporzionalità della sanzione conservativa al fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva, mentre nei casi in cui il c.c.n.l. operi una riserva per le infrazioni di maggiore gravità, rimettendo al giudice di valutare l'esistenza di un simile rapporto di proporzione in connessione al contesto, spetta la tutela indennitaria, ricadendosi nell'ambito applicativo di cui all'art. 18, comma 5, st.lav. (Fattispecie in cui la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva disposto la reintegra a fronte della previsione, contenuta nel c.c.n.l., della sanzione conservativa per la condotta illecita consistente nel "rivolgere a colleghi o terzi frasi offensive", senza considerare il carattere esemplificativo dell'indicazione né la clausola di salvezza per i casi di maggiore gravità)” (Cass. civ., Sez. lavoro, 17-10-2018, n. 26013).

Secondo la giurisprudenza, principio fondamentale, ai fini della sussumibilità del comportamento contestato al lavoratore nelle ipotesi per cui il CCNL prevede una sanzione conservativa, è la necessità che la condotta addebitata al dipendente e quella inserita nella norma contrattuale coincidano perfettamente.
In forza di ciò, la Cassazione ha ritenuto che la condotta del dipendente consistente nell’ aver guidato l'automezzo aziendale in stato di ebbrezza alcolica oltre i limiti consentiti dalla legge non potesse rientrare nell’ipotesi per cui l’art. 62 del CCNL Mobilità Attività Ferroviarie prevede la sospensione da 8 a 10 giorni “per essere sotto effetto di sostanze alcoliche o di droghe all’atto della presentazione in servizio, oppure nel disimpegno di mansioni non inerenti la sicurezza dell’esercizio”.
Sul punto, i Giudici di legittimità hanno affermato che: “In materia disciplinare, il procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, tipizzata dalle parti collettive, postula l'integrale coincidenza tra le due, con conseguente impossibilità di procedere a una tale operazione logica, quando la condotta del lavoratore sia caratterizzata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti, rispetto alla previsione contrattuale” (Cass. civ., Sez. lavoro, 27-03-2019, n. 8582; sul punto si veda: Cassazione: sanzione conservativa prevista dal CCNL ed illegittimità del licenziamento).

La giurisprudenza di legittimità sostiene, poi, che, ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria, non è consentito al Giudice di merito estendere le ipotesi per cui il CCNL prevede sanzioni conservative, solo sul presupposto che la condotta contestata al lavoratore presenti un pari disvalore disciplinare rispetto alla fattispecie contrattualcollettiva.
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto che il comportamento del lavoratore licenziato - consistente nell’essere stato sorpreso dal proprio superiore gerarchico, durante il turno di lavoro notturno, addormentato presso una zona dello stabilimento diversa da quella di adibizione - non potesse essere ricompreso nell’ipotesi per cui il CCNL prevede la sospensione in caso di abbandono del posto di lavoro.
Nello specifico, secondo la Cassazione: “Il licenziamento irrogato al prestatore è illegittimo e meritevole della tutela reintegratoria di cui all'art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori) ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa. Coerentemente non è consentito al giudice, in presenza di una condotta accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, applicare la tutela reintegratoria operando una estensione non consentita al caso non previsto sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare. (Nel caso concreto la Corte ha interpretato ed applicato una clausola contrattuale prevedente una sanzione conservativa ad un caso concreto non contemplato dalla medesima, di talché la sentenza impugnata va cassata e rinviata al giudice del merito affinché il medesimo accerti la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo del licenziamento tenendo conto delle tipizzazioni espresse dalla contrattazione collettiva e utilizzando la discrezionalità che deriva dalla nozione legale di tali giustificazioni.)” (Cass. civ. Sez. lavoro, 09-05-2019, n. 12365; sul punto si veda: Cassazione: sanzione conservativa soltanto per le ipotesi espressamente disciplinate dal CCNL).
Ed ancora: “… Non è, invece, consentito al giudice, in presenza di una condotta accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi o dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, applicare la tutela reintegratoria operando una estensione non consentita al caso non previsto, sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare” (Cass. civ., Sez. lavoro, 28-05-2019, n. 14500).

La regola generale del divieto di interpretazione analogica delle clausole contrattualcolletive contenenti condotte punite con sanzioni conservative, è mitigata dall’eccezione rappresentata dall’ipotesi in cui il Giudice ravvisi un’inadeguatezza per difetto dell’espressione letterale della norma del CCNL rispetto alla volontà delle parti contraenti.
In altri termini, è possibile interpretare estensivamente le clausole contrattuali, ai sensi dell’art. 1365 c.c., solo per ricomprendere all’interno delle stesse delle fattispecie similari rispetto a quelle presenti che le parti sociali si sono “dimenticate” di inserire.
Per i Giudici di legittimità, perciò, non è possibile inerire la condotta contestata al lavoratore, consistente nell’inosservanza delle fasce di reperibilità, nelle ipotesi di simulazione di malattia ovvero di assenze arbitrarie di durata non superiore a cinque giorni, punite dal CCNL con sanzione conservativa, trattandosi di fattispecie tra loro diverse ed inconferenti.
Nella relativa pronuncia si legge, così, che: “In tema di licenziamento disciplinare, l'accesso alla tutela reale di cui all'art. 18, comma 4, st.lav., divenuta eccezionale a seguito della modifica introdotta dalla l. n. 92 del 2012, presuppone una valutazione di proporzionalità della sanzione conservativa al fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva, potendosi procedere ad un'interpretazione estensiva delle clausole contrattuali soltanto ove esse appaiano inadeguate per difetto dell'espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all'intenzione” (Cass. civ., Sez. lavoro, 19-07-2019, n. 19578).
Principio questo, richiamato e sviluppato in un altro arresto, secondo cui: “In tema di licenziamento disciplinare, l'accesso alla tutela reale di cui all'art. 18, comma 4, st.lav., divenuta eccezionale a seguito della modifica introdotta dalla l. n. 92 del 2012, presuppone una valutazione di proporzionalità della sanzione conservativa al fatto in addebito tipizzata dalla contrattazione collettiva, potendosi procedere ad un'interpretazione estensiva delle clausole contrattuali soltanto ove esse appaiano inadeguate per difetto dell'espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all'intenzione, e non già nel caso in cui il risultato sia quello di ridurre la portata della norma costituente la regola con l'introduzione di nuove eccezioni; ne consegue che solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento illegittimo sarà anche meritevole della tutela reintegratoria” (Cass. civ., Sez. lavoro, 05-12-2019, n. 31839).

Da ultimo, la Suprema Corte ha recentemente ribadito che il Giudice di merito è vincolato dalle previsioni del CCNL che prevedono una sanzione conservativa, non potendo, quindi, estendere dette ipotesi a condotte differenti rispetto a quelle inserite nelle norme contrattualcollettive.
Su tali presupposti, la Cassazione ha escluso che l’omessa informazione ai propri superiori gerarchici della sistematica manomissione dei dispositivi di sicurezza di rallentamento di velocità dei carrelli potesse essere sussunta nell’ipotesi di “omessa comunicazione, per colpa lieve, di guasti ed irregolarità a macchinari ed attrezzature di cui il dipendente abbia notizia”, per cui l’art. 69 del CCNL Industria Alimentare prevede la sanzione della sospensione dal servizio.
Al riguardo, i Giudici di legittimità hanno sostenuto che: “In sede di valutazione dei rapporti tra licenziamento e previsioni disciplinari della contrattazione collettiva, essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale, vale il generale principio che siffatte previsioni non vincolano il giudice di merito anche se la scala valoriale ivi recepita deve comunque costituire uno dei parametri di riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 cod. civ. Tale principio generale soffre tuttavia un'eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa: in tal caso, infatti, il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore. Pertanto, ove alla mancanza sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti, a meno che non si accerti che le parti stesse non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall'autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari” (Cass. civ., Sez. lavoro, 07-05-2020, n. 8621; sul punto si veda: Cassazione: l’omessa informazione sulla manomissione dei sistemi di sicurezza integra la giusta causa di licenziamento).

Dall’analisi delle predette pronunce di legittimità emerge, quindi, chiaramente che:
- ai fini della sussumibilità della condotta contestata al lavoratore in ipotesi punite con sanzioni meramente conservative è necessaria la perfetta identità del comportamento posto in essere dal dipendente con la previsione contrattuale;
- non è possibile applicare la tutela reintegratoria operando una estensione delle ipotesi punite con sanzione conservativa sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare;
- ai fini della sussunzione del comportamento tenuto dal lavoratore in ipotesi punite con sanzioni conservative, è precluso al Giudice di merito utilizzare le clausole contrattuali prevedenti la violazione di generici doveri di comportamento da parte del dipendente;
- non è mai consentita l’applicazione analogica ed estensiva delle clausole contrattuali riguardanti l’applicazione di sanzioni conservative, a meno che esse non appaiano inadeguate per difetto dell'espressione letterale rispetto alla volontà delle parti sociali contraenti.

Avv. Matteo Farnetani - Fieldfisher