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Licenziamento disciplinare : se il contratto collettivo prevede una sanzione diversa?


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Sono diversi i fattori che concorrono a rendere problematica l’applicazione dell’ art. 18 , c. 4, L. 300/1970, nei casi in cui viene accertata l’illegittimità del licenziamento disciplinare e il giudice condanna il datore di lavoro alla reintegra del lavoratore. Le difficoltà sorgono quando il contratto collettivo tipizza le infrazioni a cui far corrispondere le diverse tipologie di sanzioni, compreso ovviamente il licenziamento disciplinare. A questo punto cosa potrebbe succedere se il contratto collettivo prevedesse una sanzione diversa dal licenziamento disciplinare per la condotta contestata?

1. Le Normative disciplinari del contratto collettivo e l' art. 18, c. 4, L. 300/1970

Secondo l’ art. 18, c. 4, L. 300/1970 nei casi in cui è accertata l’illegittimità del licenziamento disciplinare, il giudice condanna il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore in azienda ove il contratto collettivo consideri il fatto contestato al lavoratore punibile con una sanzione conservativa. A tal riguardo, per riflesso dei diversi modi in cui risultano congegnate le normative sui licenziamenti disciplinari predisposte dai contratti collettivi, possono darsi diverse situazioni, che pongono questioni più o meno difficoltose. L’inadempimento imputato al lavoratore effettivamente sussiste, ma nel contratto collettivo si trova una espressa previsione che fa corrispondere una sanzione conservativa (ad esempio, la sospensione) allo specifico comportamento contestato al lavoratore. In casi del genere, non c’è dubbio: il giudice condannerà il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria che non può superare le dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Talora, se non prevalentemente, le normative disciplinari non sono affatto precise nel tipizzare le infrazioni disciplinari a cui fanno corrispondere le diverse tipologie di sanzioni. Capita, inoltre, che un tipo di comportamento compaia fra le infrazioni considerate meritevoli di sanzioni conservative e di sanzioni espulsive, a seconda del grado di gravità del comportamento tenuto dal lavoratore (ad esempio, all’insubordinazione lieve è connessa una sanzione conservativa e all’insubordinazione grave è connesso il licenziamento). Anche questo concorre a rendere problematica l’applicazione dell’art. 18, comma 4, nelle singole vicende processuali.

2. Alcune prese di posizione della Cassazione

Alcune sentenze della Cassazione aiutano ad orientarsi rispetto alle suindicate questioni.

2.1 Il contratto collettivo prevede la sanzione del licenziamento per “il diverbio litigioso seguito da vie di fatto”.

Nel caso di specie, è accertato il “diverbio litigioso”, ma non il passaggio alle vie di fatto. La Cassazione, sulla base delle risultanze degli accertamenti in fatto effettuati nelle precedenti fasi, reputa non applicata legittimamente la sanzione del licenziamento dato che “… le tipizzazioni degli illeciti disciplinari contenute nei contratti collettivi … non consentono al datore di lavoro di irrogare la sanzione risolutiva quando questa costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione” (Cassazione 30.3.2016, n. 6165). In questa decisione, non viene direttamente in rilievo l’art. 18, co. 4 e, peraltro, è trattata una fattispecie che non coincide perfettamente con quella che si sta approfondendo. La decisione è comunque interessante. Mette, infatti, in luce come sia naturale che il confronto fra le diverse previsioni presenti nella parte disciplinare dei contratti collettivi venga condotto, quando si tratta di decidere della misura applicabile in reazione ad un licenziamento illegittimo, con riferimento a specifici comportamenti di rilevanza disciplinare.

2.2 Il contratto collettivo prevede che “potrà essere licenziato con preavviso il dipendente … che abbia effettuato assenze ingiustificate prolungate oltre 5 giorni consecutivi” e predispone sanzioni conservative per assenze ingiustificate di durata inferiore.

La Cassazione conferma la sentenza che ha previsto la reintegrazione del lavoratore colpevole di un’assenza di 3 giorni. A tale conclusione la Cassazione addiviene facendo riferimento anche all’art. 18, co. 4, dello Statuto e sottolineando che esso stabilisce “… la cd. tutela reintegratoria attenuata nelle ipotesi in cui il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro … perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base di previsioni dei contratti collettivi” (Cassazione 6.7.2016, n.13787). La Cassazione, dunque, si avvale dell’art. 18, co.4, sviluppando un ragionamento legato alla presenza di clausole contrattuali che definiscono specifici comportamenti di rilevanza disciplinare (assenza ingiustificata superiore a 5 giorni oppure assenza ingiustificata più breve) a cui le stesse riconnettono le varie sanzioni.

2.3 Il contratto collettivo non contiene una tipizzazione degli illeciti disciplinari e lo stesso contratto rimette la scelta fra le varie sanzioni alla gravità degli illeciti.

Pertanto, non risultando una clausola del contratto collettivo che colpisca lo specifico comportamento imputato al lavoratore con una sanzione conservativa, non si ha modo di applicare l’art. 18, comma 4 (Cassazione 17.5.2018, n. 12102). A parte altre considerazioni, anche questa decisione induce a ritenere che la tipizzazione dei comportamenti illeciti sia presupposto necessario perché, in alternativa alla regola della tutela indennitaria, possa trovare applicazione l’eccezione rappresentata dalla reintegra prevista dall’art. 18, comma 4. In effetti, il contratto collettivo, rimettendosi alla gravità dei diversi illeciti, implicitamente richiama la proporzionalità della sanzione rispetto all’illecito (art. 2106 c.c.) e la proporzionalità si colloca all’esterno dell’art. 18, comma 4: il giudizio sulla proporzionalità serve a verificare se il licenziamento è legittimo oppure illegittimo perché privo di una adeguata giustificazione causale; il giudizio richiesto dall’art. 18, comma 4, subentra ove si pervenga alla conclusione che il licenziamento è illegittimo e serve a stabilire se va applicata la reintegra oppure la tutela indennitaria di cui al comma 5 dello stesso art.18.

3. Generici riferimenti alla violazione dei doveri gravanti sul lavoratore e art. 18, comma 4.

Fermo restando un discreto grado di incertezza che si accompagna alle operazioni di interpretazione/applicazione dell’art. 18, co.4, le normative contrattuali, che fra le diverse infrazioni disciplinari inseriscono anche la violazione di generici doveri da parte del lavoratore, non si prestano a fungere da elemento della comparazione fra fatto contestato quale presupposto causale del licenziamento comminato e fatti previsti dal contratto collettivo ai fini dell’applicazione di sanzioni conservative (e non espulsive).

Clausole contrattuali del suindicato tenore non forniscono, nemmeno alla lontana, la descrizione di un “fatto” disciplinare come richiesto dall’art. 18, comma 4, e, quindi, non soddisfano la condizione posta dallo stesso, che il confronto fra fatti di rilevanza disciplinare postula. Ciò anche a prescindere dalle diversità di idee che sono in circolazione in merito al maggiore o minore grado di specificità delle previsioni contrattuali richiesto ai fini della verifica prospettata dall’art. 18, comma 4.

Può accadere che la clausola contrattuale, con lo scopo di meglio descrivere fattispecie disciplinari considerate meritevoli di sanzioni conservative e non espulsive, integri la violazione di non definiti doveri gravanti sul lavoratore con un riferimento ad un danno qualificato (grave?) derivante dalla violazione (ad esempio, il contratto collettivo prevede la sospensione per la violazione di doveri di comportamento, non ricompresi specificatamente nell’elencazione delle infrazioni descritte in dettaglio, ove dalla violazione sia derivato un grave danno per l’azienda datrice di lavoro).

Ebbene, anche a fronte di discipline contrattuali così congegnate non si raggiungono condizioni utili all’applicazione dell’art. 18, comma 4, per la parte che si sta considerando.

Un licenziamento motivato dalla compromissione del rapporto fiduciario si colloca su di un piano diverso, rendendo non comparabile, da una parte, l’infrazione in qualche modo definita sulla base di danni attuali all’azienda e, dall’altra, un comportamento assunto come giusta causa di licenziamento e, quindi, ai fini disciplinari sorretto da una valutazione negativa della condotta del lavoratore di per sé considerata nonché da una valutazione prognostica su comportamenti futuri.

Il riferimento al grado del danno, d’altro canto, è legato alla valutazione di proporzionalità del licenziamento finalizzata, come si è già sottolineato, a verificare se il licenziamento è legittimo o meno e non a selezionare il tipo di tutela da applicare qualora il licenziamento venga considerato illegittimo.

Solo in casi particolari, in cui il fatto contestato inglobi direttamente un danno arrecato all’azienda, si potrà verificare l’esistenza e la consistenza del danno ai fini della tutela da applicare. Resta fermo tutto quanto detto negli altri casi.

Più in generale, le segnalate prese di posizioni giurisprudenziali incoraggiano a ritenere che l’applicazione dell’art. 18, comma 4, esige che la complessiva disciplina contrattuale offra elementi idonei ad assicurare a priori, ad un datore di lavoro diligente, la consapevolezza circa il modo in cui il contratto valuta, nelle correlazioni infrazioni/sanzioni disciplinari, il comportamento che ci si accinge ad addebitare al lavoratore come giustificazione del licenziamento disciplinare. Un’attenta lettura e valutazione della normativa disciplinare dettata dal contratto collettivo di riferimento costituisce, in ogni caso, un necessario passaggio preliminare rispetto alla comminazione del licenziamento.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo - Fieldfisher