Con la sentenza n. 16572 del 22.06.2018, la Cassazione afferma che, anche nelle aziende di piccole dimensioni, la crisi economica non giustifica il recesso per giustificato motivo oggettivo se il datore non prova che, a causa delle difficoltà economiche, ha dovuto sopprimere la posizione lavorativa del dipendente licenziato.
Il fatto affrontato
La lavoratrice, dipendente unitamente ad altre otto persone di un’agenzia di viaggi, impugna giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatole a causa di una situazione di crisi aziendale.
La sentenza
La Cassazione, confermando quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, afferma che anche nelle aziende di piccole dimensioni il recesso per giustificato motivo oggettivo deve essere basato su una crisi economica reale che deve essere provata in giudizio.
Ulteriore condizione di legittimità del licenziamento, a giudizio della Corte, è la prova dell’incidenza della crisi proprio sul settore di adibizione del lavoratore coinvolto.
Ovviamente l’indagine del giudicante non deve procedere ad una valutazione autonoma dell’opportunità di contenere i costi, né tanto meno deve sostituirsi all’imprenditore nel vagliare quale delle possibili scelte organizzative fosse quella corretta per farvi fronte.
Secondo la sentenza, infatti, compito del giudice di merito è quello di verificare in concreto l’esistenza delle ragioni poste dall’imprenditore a fondamento della sua scelta di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, che deve essere oggettivamente verificabile onde escluderne la pretestuosità.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, sul presupposto che non risulta documentata la crisi nei termini denunciati, che la posizione lavorativa non è stata soppressa e che, comunque, non è stato provato il collegamento causale tra detta crisi e l’eliminazione del posto occupato dalla dipendente licenziata.
A cura di Fieldfisher