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Cassazione: nei licenziamenti collettivi il criterio dei carichi di famiglia va valutato sotto l’aspetto economico e non da un punto di vista fiscale


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Con la sentenza n. 20464 del 02.08.2018, la Cassazione afferma che il riferimento ai carichi di famiglia tra i criteri di scelta da utilizzare, nell'ambito di un licenziamento collettivo, per l'individuazione dei lavoratori in esubero è da intendersi nella più ampia accezione della situazione economica in cui versa il nucleo familiare, non essendo a tal fine sufficiente la semplice analisi della dichiarazione Irpef dei dipendenti.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole nell’ambito di una procedura collettiva ex l. 223/1991.
Alla base della suddetta domanda deduce una errata applicazione del criterio di scelta consistente nei carichi di famiglia.
In conseguenza di ciò, la Corte d'appello accoglie la censura della dipendente, rimarcando che la verifica dei carichi di famiglia non può limitarsi alla dichiarazione Irpef dei lavoratori, se nel corso del rapporto sono emersi altri elementi sull'effettiva situazione economica del nucleo familiare.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che la nozione di carichi di famiglia - criterio di scelta dei lavoratori da licenziare nell’ambito di una procedura collettiva ex art. 5 della legge 223/1991 - non deve essere intesa come una verifica del numero dei familiari a carico sul piano fiscale, ma deve ricomprendere il più generale ed effettivo fabbisogno economico cui il prestatore è chiamato a concorrere per soddisfare le esigenze del proprio nucleo.

Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, il parametro della dichiarazione Irpef non costituisce un dato sufficiente per misurare il criterio dei carichi familiari, in quanto al datore è richiesta una verifica più ampia, nello spettro delle conoscenze a sua disposizione, che fotografi il fabbisogno effettivo determinato dalla situazione economica della famiglia.

Posto che la ratio della citata norma è quella di tutelare la condizione economica effettiva del nucleo familiare dei lavoratori esposti alla perdita del posto nell'ambito di una procedura collettiva, per la sentenza, un comportamento improntato a correttezza e buona fede impone al datore di applicare il criterio de quo senza limitarsi alla dichiarazione fiscale, valutando, invece, la stessa in concorso con tutti gli altri dati ufficiali di cui sia venuto a conoscenza durante il rapporto, a prescindere dall’esistenza di una dichiarazione ad hoc da parte del prestatore coinvolto.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, non avendo la stessa tenuto in dovuta considerazione la circostanza che, durante il rapporto, la lavoratrice aveva beneficiato dell'astensione obbligatoria per la nascita dei figli.

A cura di Fieldfisher