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Cassazione: licenziamento collettivo illegittimo in caso di mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali oltre il termine di 7 giorni


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Con l’ordinanza n. 16145 del 19.06.2018, la Cassazione afferma che deve ritenersi illegittimo il licenziamento irrogato all’esito della procedura di cui alla legge 223/1991 laddove la comunicazione ai sindacati sia giunta oltre sette giorni dopo la comunicazione dei recessi, posto che detto termine ha carattere essenziale ed opera in modo cogente.

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il recesso irrogatogli all’esito di una procedura di licenziamento collettivo ex l. 223/1991, che aveva portato alla chiusura definitiva della società datrice.
A seguito di ciò, la Corte d’Appello dichiara l’illegittimità del suddetto recesso, non avendo l’azienda inoltrato alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi la comunicazione finale, di cui all’art. 4 comma 9 della l. 223/1991, relativa anche all'applicazione dei criteri di scelta, entro il termine di sette giorni dalla comunicazione dei licenziamenti.

L’ordinanza

La Cassazione ritiene di non poter aderire alla censura mossa alla sentenza di merito da parte della società, secondo la quale, da un lato, il termine di sette giorni per l'inoltro della comunicazione finale doveva considerarsi ordinatorio e non perentorio e, dall’altro, non poteva ravvisarsi alcuna violazione dei criteri di scelta, avendo l’azienda cessato l'attività produttiva e licenziato tutti i dipendenti.

I Giudici di legittimità, in ordine al primo punto, sostengono, invece, che il termine di sette giorni per l'inoltro della comunicazione finale (introdotto dalla legge 92/2012 in luogo della precedente disposizione che prevedeva la contestualità) deve essere interpretato in modo rigido, al fine di assicurare la ragionevole contiguità temporale tra le due comunicazioni, garantendo, così, non solo il tempestivo controllo delle organizzazioni sindacali circa la correttezza nell'applicazione dei criteri di scelta, ma anche la possibilità di revocare tempestivamente il licenziamento se eseguito in violazione di detti criteri.
Secondo la sentenza, infatti, detto termine in considerazione del carattere essenziale dello stesso, opera in modo cogente, rivelandosi incoerente con il complessivo disegno legislativo ed in contrasto con la funzione di garanzia attribuita alle comunicazioni ogni altra diversa interpretazione, a nulla rilevando che il licenziamento collettivo sia stato attuato sulla base di un criterio di scelta unico per il verificarsi della cessazione dell'attività aziendale.

Ne consegue, a giudizio della Corte, l’infondatezza anche del secondo motivo di censura, posto che il citato obbligo di comunicazione ha la funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività della scelta nel rispetto dei prefissati criteri, anche allo scopo di evitare elusioni del dettato normativo concernente i diritti dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto soprattutto nel caso in cui la cessazione dell'attività dissimuli la cessione dell'azienda o la ripresa dell'attività stessa sotto diversa denominazione o in diverso luogo.

Su tali presupposti, la Cassazione rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando il diritto della lavoratrice ad ottenere il risarcimento del danno stante l’illegittimità del licenziamento irrogatole.

A cura di Fieldfisher