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Cassazione: licenziamenti collettivi e criteri di scelta, nessun margine alla discrezionalità del datore


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Con la sentenza n. 33623 del 15.11.2022, la Cassazione afferma che, nell’ambito delle procedure collettive, ai fini della individuazione dei dipendenti da licenziare, i criteri di scelta devono consentire di formare una graduatoria rigida che consenta di essere controllata, non potendo sussistere un margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro.

Il fatto affrontato

Il dipendente impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli nell’ambito di una procedura collettiva.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo deduce l’illegittimità dell’accordo raggiunto dalla società datrice con i sindacati, laddove afferma che “i lavoratori [da licenziare] saranno valutati dai responsabili delle aree operative tenendo conto della preparazione professionale e delle prestazioni qualiquantitative tali da consentire il mantenimento in servizio di lavoratori in possesso delle professionalità necessarie per la efficiente prosecuzione dell'attività aziendale”.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare – lasciando un ampio margine di discrezionalità al datore di lavoro – non fossero oggettivamente verificabili e controllabili.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva preliminarmente che, in tema di licenziamenti collettivi, per garantire la trasparenza della procedura, il criterio o i criteri prescelti (per individuare i lavoratori in esubero) devono essere oggettivi e non possono trovare applicazione discrezionale.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, un criterio basato sulla discrezionalità non è verificabile, mentre la legge, imponendo "il rispetto dei criteri", dà per presupposto che la loro applicazione sia verificabile.

In altri termini, per la sentenza, non vi può essere un'area residua di discrezionalità di scelta da parte del datore nella quale non risulti operante un criterio predeterminato; ciò, al fine di evitare che egli possa scegliere a sua discrezione quali lavoratori in concreto licenziare.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando l’illegittimità dell’impugnato licenziamento.

A cura di Fieldfisher