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Cassazione: le caratteristiche della comunicazione obbligatoria prevista dall’art. 4 della l. 223/1991


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Con la sentenza n. 5950 del 13.03.2018, la Cassazione afferma che la comunicazione obbligatoria, ex art. 4 l. 223/1991, è finalizzata, non a predeterminare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, ma a consentire il corretto svolgimento del confronto tra azienda ed organizzazioni sindacali, affinché queste ultime possano esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di richiedere la declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogatole dalla società nell’ambito di una procedura di mobilità, per violazione dei criteri di redazione della comunicazione obbligatoria, di cui all’art. 4 della l. 223/1991.

La sentenza

La Cassazione, nel confermare quanto stabilito dalla Corte di Appello, statuisce i seguenti principi generali inerenti alla comunicazione obbligatoria prevista, in caso di procedure di mobilità, dall’art. 4 della l. 223/1991:
• la comunicazione preventiva, di cui all'art. 4 della I. 223/1991, esprime, per testuale disposizione normativa, un’intenzione dell'impresa di procedere ad un licenziamento collettivo ed è finalizzata a promuovere un esame congiunto tra impresa e organizzazioni sindacali, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza di personale e le possibilità di utilizzare diversamente il personale coinvolto;
• la comunicazione non deve contenere l'indicazione dei criteri di scelta in base ai quali il datore di lavoro procederà all'individuazione dei lavoratori da licenziare, atteso che tali criteri sono di fonte legale o contrattuale e non possono essere fissati unilateralmente dal datore di lavoro;
• qualora la comunicazione preannunci, comunque, i criteri di scelta, la divergenza degli stessi rispetto a quelli poi effettivamente stabiliti dall'accordo sindacale o dalla legge, non può determinare l’illegittimità del recesso, che si ha, invece, soltanto in caso di violazione dei criteri individuati dalle due citate fonti;
• la comunicazione deve ritenersi in contrasto con l'obbligo normativo di trasparenza quando: i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti ovvero la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata od, ancora, sussista un rapporto causale fra l'indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale;
• la comunicazione, invece, deve essere considerata sufficientemente chiara laddove l’imprenditore si sia limitato ad indicare il numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell'azienda, senza che occorra la specifica indicazione degli uffici o reparti con eccedenza;
• la verifica dell’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura compete unicamente al giudice di merito, con un accertamento di fatto che, se assistito da adeguata motivazione, non è censurabile in sede di legittimità.

La Suprema Corte, applicando i suddetti principi al caso di specie, ha respinto il ricorso proposto dalla lavoratrice licenziata.

A cura di Fieldfisher